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L’argomento del “terzo uomo” nel Parmenide.

Tra i tanti argomenti di primo piano offerto dal Parmenide c’è senz’altro il cosiddetto trìtos ánthropos, di cui altri due versioni si trovano in Rep. 597c1-d3 con il cosiddetto argomento del letto e in Tim. 31a2-b3 con l’argomento dell’idea del cosmo. In genere il trìtos ánthropos è un argomento che ha assunto e ancora continua ad assumere una rilevanza filosofica di eccezionale valore, non fosse altro che per il fatto di essere stato addotto da Aristotele (da qui la denominazione per il suo esempio dell’uomo) in Metaph. 990b17–1079a13, 1039a2 e in Soph. Ref. 178b36 ss. contro la teoria delle idee dello stesso Platone. Per quanto riguarda più strettamente la posizione nel Parmenide innanzitutto sembrano imporsi due coordinate che lo incorniciano: la prima interna al duplice testo del dialogo in una economia peculiare non trascurabile della sua struttura; la seconda esterna di background storiografico, per così dire, rinvenibile solo in un’unica fonte peripatetica non priva di sospetti. Per quanto riguarda questa seconda coordinata, dalla quale forse sarebbe conveniente partire, Alessandro di Afrodisia in Metaph. 83,12-85,17 registra due distinti lògoi contro la tesi dell’esistenza delle idee: il primo non contiene affatto l’argomento del terzo uomo, ma solo l’unico della partecipazione per somiglianza tra la realtà chiamata “idea” e i loro mutui somiglianti; 2) il secondo concerne proprio quattro tipi di terzo uomo, tre dei quali sono privi del concetto di partecipazione e sono basati sulla predicazione delle sostanze concepite come predicati universali realmente esistenti e identificati con l’idee platoniche. Solo l’argomento del sofista Polisseno combina il concetto di predicazione con quello di partecipazione, argomentando proprio che nell’impossibilità di poter far partecipare l’idea ai rispettivi sensibili introduce una terza entità intermedia tra i due poli perché fosse giustificabile la procedura della partecipazione e quindi della conseguente predicazione.

Questo quadro che si mostra abbastanza pluralistico e complesso dovrebbe provocare un approccio a tale argomento diverso da quello che si potrebbe valutare come una semplificazione scolastica, cioè quello di giudicarlo unico e monolitico sulla scia della trattazione aristotelica. Con l’intervento di Aristotele si focalizza una certa concentrazione forse più rappresentativa e più specificamente modellata su motivi prevalentemente polemico-elenctici di segno anti-accademico, oltre a fornire la denominazione comune ai disparati fenomeni raccordabile a una procedura dialettica della reductio ad absurdum, che ha come nerbo probativo la nozione zenoniana del progressum in infinitum. Platone impiega, adatta o forse più propriamente concepisce in modo alquanto originale e inedito un argomento diffuso o almeno abbastanza usato nelle diatribe filosofiche, sicuramente molto prestante a configurazioni ulteriori e in qualche modo indipendenti. Tale argomento, che secondo le sue due versioni occupa la terza (Parm. 132a1-b2) e la quinta aporia (Parm.132c-133a3) delle 6 nel proemio, indubbiamente fornisce un principio logico-dialettico ritenuto stringente in un contesto aporetico in cui (e per tutto il dialogo del Parmenide) il venerabile maestro ormai di età molto avanzata dà prova di maneggiare la tecnica del giovane discente in modo molto più appropriato e mirabile del discente stesso. Di conseguenza i due argomenti platonici anche se presentano una modulazione sostanzialmente identica, sembrano prospettare due (scelte?) trattazioni peculiari che si fondano sulla categoria della partecipazione e su quella della rassomiglianza, quindi non propriamente sulla giustificabilità di un intermediario ma sul rapporto diretto ed esclusivo tra l’unità eidetica e la molteplicità sensibile diveniente, il tema principale che Parmenide sceglie tra i vari possibili menzionati per l’esercizio dialettico da affrontare nel dialogo. Ciò che sorprende immediatamente dal punto di vista linguistico è che mancano del tutto i termini trìton, anche se non è possibile dedurne che Platone non ne conoscesse l’argomento, almeno nella forma in cui si conosce di Polisseno, ma è molto probabile che anche in quella aristotelica, e kategorèin, il che non vuol dire affatto che Platone ignorasse una tale funzione analitico-proposizionale (anzi si è parlato di autopredicazione dell’idea stessa), come emerge anche nel Soph. 262e3ss circa il tema del discorso, e soprattutto i suoi risvolti teoretico-filosofici. Si dovrebbe trattare invece di una latente esclusione di aspetti o formulazioni dell’argomento, che Platone dovrebbe considerare inconsistenti e autocontraddittori, ma che gli accademici avrebbero in seguito riproposto per ragioni di controversie incentrate su di esse. Capire anche questi rilievi, oltre alla ragione e alla portata delle elaborazione platoniche di tali testi all’interno del Parmenide e per la teoria delle idee in genere, vorrebbe essere lo scopo di questo studio.

The argument of the “third man” (TMA) in the Parmenides.

Among so many prominent arguments offered by the Parmenides there is certainly the so-called trìtos ánthropos, of which two other versions are in Rep. 597c1-d3 with the so-called bed argument and in Tim. 31a2-b3 with the argument of cosmos’ idea. Generally the trìtos ánthropos is an argument that has assumed and still continues to assume a philosophical relevance of exceptional value, if only for the fact of having been adduced by Aristotle (hence the denomination for his example of man) in Metaph. 990b17-1079a13, 1039a2 and in Soph. Ref. 178b36 ff. against Plato’s theory of ideas. As regards the position in the Parmenides more closely, first of all two coordinates, which frame it, appear to be necessary: the first one inside the double text of the dialogue in a peculiar non-negligible economy of its structure; the second external of historiographical background, as it were, traceable only in a single peripatetic source that is not without suspicion. As for this second coordinate, perhaps it would be convenient to start from, Alexander of Aphrodisias in Metaph. 83.12-85.17 records two distinct lògoi against the thesis of the existence of ideas: the first does not contain the third man’s argument at all, but only the one of participation by the likeness between the reality called “idea” and its resembling ones; 2) the second concerns just four types of third man, three of which are devoid of the concept of participation and are based on the predication of substances conceived as universal predicates actually existing and identified with Platonic ideas. Only the argument of the sophist Polixenus combines the concept of predication with that of participation, arguing precisely that in the impossibility of the idea to participate in respective sensitive ones a third intermediate entity between the two poles is to be introduced to justify the procedure of participation and therefore of the consequent predication.

This framework, which appears to be quite pluralistic and complex, should provoke an approach to this subject different from the common one considerable as a scholastic simplification, that is as unique and monolithic topic in the wake of the Aristotelian treatment. Aristotle’s intervention focuses a certain concentration perhaps more representative and more specifically modeled on mainly polemic-elenctic grounds of anti-academic sign, as well as providing the common denomination to the disparate phenomena connected to a dialectical procedure of the reductio ad absurdum, which has Zeno’s notion of progressum in infinitum as a probative force. Plato employs, adapts or perhaps more properly conceives in a rather original and unprecedented way a widespread argument or at least quite used in philosophical diatribes, certainly very disposable to further and in some way independent configurations. This argument, which according to its two versions occupies the third (Parm. 132a1-b2) and the fifth aporia (Parm.132c-133a3) of the 6 in the proem, undoubtedly provides a logical-dialectical principle considered cogent in an aporetic context in which (and for all the dialogue of Parmenides) the venerable master of very advanced age proves now to handle the young learner’s technique in a much more appropriate and admirable way than the learner himself. Consequently, the two Plato’s arguments, even if they present a substantially identical modulation, seem to suggest two (chosen?) peculiar treatises of its, based on the category of participation and resemblance, therefore not properly on the justification of an intermediary but on the direct and exclusive relationship between the eidetic unity and the sensitive becoming multiplicity, the main theme that Parmenides chooses among the various possible mentioned ones for the dialectical exercise to be addressed in the dialogue. What is surprising immediately from the linguistic point of view is that the terms trìton is completely missing, even if it is not possible to deduce that Plato did not know the subject, at least in the form in which it is known of Polixenus, but it is very probable in the Aristotelian one too, just as well as the term kategorèin, which does not at all mean that Plato ignored such an analytical-propositional function (on the contrary, there has been talk of self-predication of the idea itself), as also shown in the Soph. 262e3 ff about the theme of the speech, and above all its theoretical-philosophical implications. Instead, it should be a latent exclusion of aspects or formulations of the argument, Plato should consider inconsistent and self-contradictory, but the Academics would later re-propose for reasons of controversy centered on them. Understanding these aspects, besides the reason and the scope of the Platonic elaborations of such texts within the Parmenides and for the theory of ideas in general, would be the aim of this study.

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