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La ὑπόθεσις di Parmenide e la γυμνασία del Parmenide

Quella che in Parm. 128d5-6 è indicata come la ὑπόθεσις di Parmenide è presentata in 128a8-b1 mediante l’enunciato [a] ‘ἓν … εἶναι τὸ πᾶν’, cui si accenna successivamente varie volte nella sezione iniziale 127d6-130a2,[1] anche al plurale ‘ἓν ἅπαντα’ in 129b5. Ancora come riferimenti alla stessa ὑπόθεσις vanno considerati alcuni enunciati affini, ricorrenti in altri dialoghi:

Un’indagine su tali enunciati può fornire importanti chiarimenti per interpretare la struttura complessiva della γυμνασία del Parmenide (137c4-166c5) e il suo rapporto con la sezione iniziale del dialogo. Un’interpretazione del genere, infatti, deve rispondere ad alcune questioni.

(Q1) Qual è l’esatto significato filosofico di [a] e degli enunciati affini?

(Q2) Come si spiega, data la costanza di [a] in 127d6-130a2, la problematica soluzione di continuità per cui la γυμνασία – come è esplicitamente detto[2] – verte sulla stessa ὑπόθεσις, ma di questa è considerato solo il predicato ‘ἕν’ e non il soggetto ‘τὸ πᾶν’/‘ἅπαντα’?

(Q4) Socrate obietta agli argomenti zenoniani e alla stessa ὑπόθεσις parmenidea di essersi mossi ἐν τοῖς ὁρωμένοις[3] e Parmenide, accogliendo l’obiezione, afferma che nella πραγματεία bisognerà considerare gli εἴδη.[4] In che modo [a] può prestarsi a questa dichiarata trasposizione sul piano eidetico, al quale pure essa era originariamente estranea?

Il contributo intende rispondere a tali quesiti, e interpretare così la struttura complessiva della γυμνασία, attraverso un nuovo approccio. Innanzitutto, si argomenterà come l’indagine debba partire da una nuova interpretazione e traduzione di [g]. Tuttavia, le numerose e importanti implicazioni della nuova lettura saranno illustrate, qui e nel contributo, solo brevemente in funzione della successiva dimostrazione di come esse possano applicarsi alle suddette questioni del Parmenide.

Nella bibliografia sul Sofista si trovano due tipi di traduzione di [g]. La traduzione più frequente è: «what is called [‘]all things[’] is one».[5] Una seconda tipologia di traduzione è: «ce qu’on appelle [‘]toutes choses[’] n’est qu’un seul être».[6]

Tuttavia, se si esamina attentamente tutto il contesto in cui occorre [g], si comprende che questo enunciato ha un significato molto diverso. Il contesto è la sezione 242c8-245e8 del Sofista, che si occupa dei pluralisti (242c9-d4 e 243d8-244b5) e dei monisti dell’ἔθνος eleatico, tra i quali c’è innanzitutto Parmenide (242d4-7 e 244b6-245d11). Questa sezione nasconde una struttura incrociata, così schematizzabile:

La struttura incrociata è data dal fatto che ciascuna delle due posizioni, dei pluralisti e dei monisti, è problematizzata in modo da essere condotta alla posizione opposta.

Innanzitutto, si osservi come le dottrine dei pluralisti siano presentate attraverso varie tesi, che però in Soph. 244b3 sono tutte riassunte dalla formula più generale: πλεῖον ἑνὸς … τὸ πᾶν εἶναι. Si osservi poi la corrispondenza letterale e semantica tra tale formula e l’esito pluralistico della problematizzazione della dottrina dei monisti.

Si passi poi a osservare la problematizzazione delle dottrine dei pluralisti, più esattamente dualisti. Qui sono considerati tre casi. Il II e il III caso, usando la costruzione ‘ὄνομα καλεῖν τινα’, mostrano la difficoltà dei dualisti a riferire il nome ‘ὄν’ ai due principî e, transitivamente, a τὰ παντα che dai due principî derivano. In entrambi i casi c’è un esito monistico, che nel II deriva dal chiamare (243e5: καλοῦντες) ‘ὄν’ distributivamente uno dei due principî (243e5: θάτερον), mentre nel III dal chiamare (243e8: καλεῖν) ‘ὄν’ collettivamente ambedue i principî (243e8: τὰ ἄμφω).

Se ora si considera la struttura incrociata e l’occorrenza di κᾰλέω in [g], si desume che il senso di questo enunciato deve corrispondere filosoficamente a uno dei due casi monistici della problematizzazione della posizione pluralistica e che anche in questo enunciato deve essere impiegata la stessa costruzione ‘ὄνομα καλεῖν τινα’, ma al mediopassivo, con ‘ὄν’ e ‘ἕν’ come nomi e τὰ παντα come loro referenti. Che sia così è fortemente confermato dal fatto che in 244b12 occorre la stessa costruzione e che in 244b9-d13 la problematizzazione della dottrina dei monisti verte proprio sull’uso che costoro fanno di ‘ὄν’ e ‘ἕν’ come nomi.

Ma a quale dei due casi monistici, II o III, corrisponde [g]? Deve trattarsi del III caso. Questo, infatti, ha implicazioni mereologiche: riferire il nome ‘ὄν’ collettivamente ai due principî, e transitivamente a τὰ παντα che dai due principî derivano, significa considerare i due principî, e transitivamente τὰ παντα, come parti di un composto unitario.[7] Ora si osservi come in 244d14-245d11, contestualmente alla citazione di DK28B8,43-45, la problematizzazione della posizione monistica avvenga proprio rispetto a una questione mereologica.

Considerando tutto ciò, la traduzione corretta di [g] deve essere: «tutte le cose insieme (collettivamente) sono chiamate ‘ὄν’ e ‘ἕν’». Ciò che emerge è una forma di monismo che non nega la pluralità, ma che, da un lato, pensa collettivamente τὰ παντα come un quid unitario e unico, chiamato ‘ὄν’ e ‘ἕν’, e che, dall’altro, riconosce un primato e una pienezza ontologica a questo quid rispetto a τὰ παντα, analogamente a quanto fanno i dualisti verso i due principî rispetto alle cose da essi composte.

Applicata al Parmenide, questa complessiva interpretazione consente di rispondere alle suddette questioni e spiegare diversi aspetti della γυμνασία. Ecco solo alcuni esempi.

(Q1) [a] e gli enunciati affini del Parmenide hanno un significato analogo a quello di [g]. In essi il termine ‘ἕν’ deve significare non solo «unicità», come si ritiene tradizionalmente, ma anche «unitarietà»: pensare τὸ πᾶν come ἕν significa pensare ἅπαντα come un intero unico, in quanto onnicomprensivo, e unitario. Questo spiega perché in Parm. 129c4-d6 Socrate si riferisca al problema sollevato dalla ὑπόθεσις con un indubbio senso mereologico e secondo una dialettica tra una prospettiva distributiva e una collettiva: considerando distributivamente le sue parti, Socrate è πολλά, ma, considerandole collettivamente, egli è ἕν.

(Q2) Non c’è discontinuità tra la ὑπόθεσις parmenidea e l’ipotesi della γυμνασία, che, riprendendo la stessa ὑπόθεσις, ha come oggetto dichiarato τὸ ἕν o τὸ ὂν ἕν e non τὸ πᾶν. Se in base a [g] gli Eleati chiamano ‘ὄν’ e ‘ἕν’ τὰ πάντα, allora τὸ ἕν e τὸ ὂν ἕν devono essere τὰ πάντα, pensati unitariamente nel modo indicato da [g]. È così che si spiega perché il problema intero-parti sia così centrale nella γυμνασία e in tutto il Parmenide. Inoltre si spiegherebbe come Parmenide intenda e usi le espressioni ‘πρὸς ἑαυτό’ (o ‘πρός αὑτό’) e ‘πρὸς τὰ ἄλλα’ (o ‘πρὸς ἄλληλα’):[8] considerare τὸ ἕν o τὸ ὂν ἕν “πρὸς ἑαυτό” significa considerare τὰ πάντα collettivamente come ἕν, mentre considerare τὸ ἕν o τὸ ὂν ἕν “πρὸς τὰ ἄλλα” significa considerare τὰ πάντα distributivamente come πολλά.

(Q3) Accettando la summenzionata interpretazione di [g], si osserva come debbano esserci delle connessioni terministiche e filosofiche tra la ὑπόθεσις parmenidea e le Forme platoniche in quanto ἓν ἐν[9] / ἐπὶ[10] πᾶσιν. Il contributo intende sostenere che queste connessioni potrebbero spiegare come la γυμνασία possa occuparsi delle Forme, pur partendo da un’ipotesi sulle cose sensibili.

 

Parmenides’ ὑπόθεσις and the Parmenides’ γυμνασία

What in Parm. 128d5-6 is presented as Parmenides’ ὑπόθεσις is introduced in 128a8-b1 by means of the sentence [a] ‘ἓν … εἶναι τὸ πᾶν’, which appears again several times in the opening section 127d6-130a2,[11] also in the plural ‘ἓν ἅπαντα’ in 129b5. Some similar sentences in other dialogues must be considered as references to the same ὑπόθεσις:

 

An extended examination of these sentences can provide many important insights to interpret the overall structure of the Parmenides’ γυμνασία (137c4-166c5) and its relationship to the opening section of the dialogue. In order to interpret such points, in fact, one needs to answer some questions.

(Q1) Which is the exact philosophical meaning of [a] and the similar sentences?

(Q2) The γυμνασία examines the consequences that follows from a hypothesis which is said to be Parmenides’ ὑπόθεσις,[12] but the dialectical exercise seems to focus on the predicate ‘ἕν’ rather than the subject ‘τὸ πᾶν’/‘ἅπαντα’. How can one explain the consistency of these two points?

(Q3) Socrates objects that Zeno’s arguments, and Parmenides’ ὑπόθεσις itself, wander ἐν τοῖς ὁρωμένοις.[13] Parmenides agrees with Socrates and says that the γυμνασία should rather be directed toward things that one would regard as εἴδη.[14] How might the exercise deal with Forms, even though it starts from a hypothesis about sensible things?

The paper aims to answer these questions, and explain the overall structure of the γυμνασία, by means of a new methodological approach. Firstly it will be argued that the inquiry needs to start from a new interpretation and translation of [g]. However, the numerous and important implications of the new reading will be illustrated, here and in the paper, just to explain how they can solve the aforementioned issues of the Parmenides.

There are two kinds of translations of [g] in the bibliography on the Sophist. The most common translation is: «what is called [‘]all things[’] is one».[15] A second type of translation is: «ce qu’on appelle [‘]toutes choses[’] n’est qu’un seul être».[16]

However, if one carefully examine the entire context of occurrence of [g], one understands that this sentence has a very different meaning. The context is the section 242c8-245e8 of the Sophist, that deals with the pluralists (242c9-d4 and 243d8-244b5) and the Eleatic monists, among whom there is firstly Parmenides (242d4-7 and 244b6-245d11). This section hides a crossed structure, which can be outlined as follows:

The crossed structure derives from the fact that each of the two positions is criticized in such a way to be forced to the opposite position.

First of all let us observe that the pluralist doctrines are presented through various theses, but in Soph. 244b3 all of them are summarized by means of the most general formula: πλεῖον ἑνὸς … τὸ πᾶν εἶναι. Then let us observe the literal and semantic correspondence between this formula and the pluralist outcome of the criticism against the monists.

Secondly let us move on to observe the criticism against the pluralists, more exactly the dualists. Here there are three cases. Both the 2nd and the 3rd cases use the construction ‘ὄνομα καλεῖν τινα’ and show that the dualists are in trouble referring the name ‘ὄν’ to their two principles and, transitively, to τὰ παντα that derive from these principles. In both cases there is a monist outcome, which in the 2nd one derives from calling (243e5: καλοῦντες) ‘ὄν’ distributively one of the two principles (243e5: θάτερον), while in the 3rd one from calling (243e8: καλεῖν) ‘ὄν’ collectively both principles (243e8: τὰ ἄμφω).

Now, if one takes in account the crossed structure and the occurrence of καλέω in [g], one has to conclude that there must be a philosophical correspondence between the meaning of this sentence and one of the two monist cases of the criticism against the pluralists and that in this sentence the same construction ‘ὄνομα καλεῖν τινα’ must be used, even though at the mediopassive, with ‘ὄν’ and ‘ἕν’ as names and τὰ παντα as their referents. Such an interpretation is strongly confirmed by the fact that in 244b12 the same construction is used and that in 244b9-d13 the criticism against the monists concerns the way they use ‘ὄν’ and ‘ἕν’ as names.

Other contextual elements lead to conclude that [g] must have a philosophical meaning similar to the 3rd case. This case has mereological implications: referring the name ‘ὄν’ collectively to the two principles, and, transitively, to τὰ παντα that derive from the two principles, means considering the two principes, and transitively τὰ παντα, as parts of a whole which is ἕν.[17] Now let us observe that in 244d14-245d11, together with a quotation of DK28B8,43-45, the criticism against the monists takes place precisely with respect to a mereological question.

In the light of this interpretation, the correct translation of [g] must be: «the things all together (collectively) are called ‘ὄν’ and ‘ἕν’». What emerges is a type of monism that does not deny plurality, but, on the one hand, regards collectively τὰ παντα as an unitary and unique quid, called ‘ὄν’ and ‘ἕν’, and, on the other hand, recognizes an ontological primacy to this quid rather than to τὰ παντα (such as the dualists recognize an ontological primacy to their two principles rather than to the things derived from these ones).

Referred to the Parmenides, this overall interpretation allows one to answer the aforementioned questions and explain several aspects of the γυμνασία. Here are some examples.

(Q1) [a] and the similar sentences of the Parmenides must have a meaning similar to that of [g]. The word ‘ἕν’ must mean not only «uniqueness», but also «unitarity»: considering τὸ πᾶν as ἕν means considering ἅπαντα as a whole which is both unique, because it encompass everything, and unitary. This explains why in Parm. 129c4-d6 Socrates refers to the problem posed by Parmenides’ ὑπόθεσις with an undeniable mereological sense and adopting a dialectic transition from a distributive perspective to a collective one, and vice versa: if one regards distributively his parts, Socrates is πολλά, but, if one considers collectively them, he is ἕν.

 (Q2) There is no inconsistency between Parmenides’ ὑπόθεσις and the hypothesis of the γυμνασία, whose subject is τὸ ἕν or τὸ ὂν ἕν and not τὸ πᾶν. According to [g] the Eleatics call τὰ πάντα ‘ὄν’ and ‘ἕν’, so τὸ ἕν e τὸ ὂν ἕν must be τὰ πάντα, regarded collectively as one. Therefore it would be explained why the compositional problem is so pivotal in the γυμνασία. Furthermore it would be explained how Parmenides understands and uses the expressions ‘πρὸς ἑαυτό’ (or ‘πρός αὑτό’) and ‘πρὸς τὰ ἄλλα’ (or ‘πρὸς ἄλληλα’):[18] considering τὸ ἕν or τὸ ὂν ἕν ‘πρὸς ἑαυτό’ means considering τὰ πάντα collectively as ἕν, whereas considering τὸ ἕν or τὸ ὂν ἕν ‘πρὸς τὰ ἄλλα’ means considering τὰ πάντα distributively as πολλά.

(Q3) Accepting the aforementioned interpretation of [g], there must be some lexical and philosophical connections between Parmenides’ ὑπόθεσις and Plato’s Forms inasmuch as ἓν ἐν[19] / ἐπὶ[20] πᾶσιν. The paper aims to claim that these connections might explain how the γυμνασία deals with Forms, even though it starts from a hypothesis about sensible things.

[1] Casertano, G., Il nome della cosa, Napoli, Loffredo, 1996, pp. 13-14.

[2] Parm. 137b1-4.

[3] Parm. 129e6-130a2.

[4] Parm. 135e1-4.

[5] Palmer, J. A., Plato’s Reception of Parmenides, Oxford, Clarendon Press, 1999, p. 187.

[6] Cordero, N.-L., Platon, Le Sophiste, traduction inédite, introduction et notes par N.-L. Cordero, Paris, GF-Flammarion, 1993, p. 139.

[7] Cornford, F. M. D., Plato’s Theory of Knowledge. The Theaetetus and the Sophist of Plato, translated with a running Commentary by F. M. D. Cornford, London, Routledge & Kegan Paul, 1935, p. 220.

[8] Parm. 136a4-c5.

[9] Parm. 131b5-6.

[10] Parm. 132a11-b1; c3; c6-7.

[11] Casertano, G., Il nome della cosa, Napoli, Loffredo, 1996, pp. 13-14.

[12] Parm. 137b1-4.

[13] Parm. 129e6-130a2.

[14] Parm. 135e1-4.

[15] Palmer, J. A., Plato’s Reception of Parmenides, Oxford, Clarendon Press, 1999, p. 187.

[16] Cordero, N.-L., Platon, Le Sophiste, traduction inédite, introduction et notes par N.-L. Cordero, Paris, GF-Flammarion, 1993, p. 139.

[17] Cornford, F. M. D., Plato’s Theory of Knowledge. The Theaetetus and the Sophist of Plato, translated with a running Commentary by F. M. D. Cornford, London, Routledge & Kegan Paul, 1935, p. 220.

[18] Parm. 136a4-c5.

[19] Parm. 131b5-6.

[20] Parm. 132a11-b1; c3; c6-7.

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