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Plato’s Parmenides in seventh century Constantinople. The Hexaemeron of George of Pisidia

The poem by George of Pisidia dedicated to Sergius patriarch of Constantinople (610-638) on the nature of reality, entitled Hexaemeron, is important evidence for direct reading of Plato’s Parmenides, especially the second half of the dialogue. The poem describes the relation between God and creation and the tone is both Christian and philosophical. The context is important since the controversy in George of Pisidia’s time concerned the idea that Christ had two energies and two wills, that means that an individual contained both infinite and finite principles within his person. This debate, in which patriarch Sergius was at the forefront, was central in the reading of Neoplatonism in Byzantium. It is known that at this time Maximus the Confessor (580-662) employed arguments present Proclus in order to argued his point of view within orthodox theology. Using Proclus’ ideas and texts was rather acceptable since Dionysius the Areopagite had strong connections with the proclean system. At the time of the Hexameron, the question of the wills and energies was not settled and therefore it is an important witness of the reading of Plato’s Parmenides and its hypothesis. It is a source for the status quo of the reception of a neoplatonic reading of the Parmenides in the years 610-638.

At Hexameron lines 1648-1677 specifically, the poet develops the contrast between One and Many.  The paper will argue that the discussion derives from his reading of the Plato’s Parmenides and specifically the second half. His interest is mainly ontological and specifically focused on the relation between the divine and creation. It is a striking poem, since one often sees late antique authors quoting the neoplatonic interpretations of the second half of the Parmenides, but not in the terms employed directly by Plato. They assume that the neoplatonic interpretation is more or less correct and employ their solutions, without looking at the original dialogue. Neoplatonists normally considered the hypotheses of the second half as representing ontological levels of reality (e.g. Plotinus Ennead 5.1, Proclus in Parmenidem and Proclus Theologia Platonica 1.10). Moreover, such an understanding of the hierarchy of reality was also accepted by Dionysius the Areopagite (he coined the expression hierarchia).

The poem surprisingly uses terminology derived directly from part two of Plato’s dialogue. The discussion on the topic of One and Many is connected with the interpretation of dialogue found in Proclus and his school. Therefore, when reading this section of the poem one must take into account both the original text of the dialogue and the interpretation of Proclus.  Part of the reason is the question of readership. The editor, Gonnelli, has identified a number of variants in the text, precisely at this point. The question is not philological, but philosophical. The textual variants are due to the meaning of the text and its relation with contemporary controversies.

George of Pisidia in his Hexameron, presented an interpretation of the second half of the Parmenides which was controversial in the seventh century. Thus, the Hexameron interprets both Plato’s dialogue and the neoplatonic readings within the context of the monoergist and monothelite controversies.  The subsequent readers modified the text precisely on the question of the relation between the One and the Many. The question concerns not the first hypothesis, but mainly the remaining positive hypotheses, since they were considered to describe the status of intellectual reality. In the sixth and seventh centuries this topic became important since there was an ongoing dispute about energies/forces as well as the nature of physis and the principles governing it. Thus these lines deal with the problem of Philoponus and Simplicius. It is worth remembering that the dedicatee of the poem, patriarch Sergius of Constantinople, was condemned at the third ecumenical synod of Constantinople (680-681). This was the same synod which promoted the orthodoxy of Maximus the Confessor. The topic of discussion at this synod was precisely the question of energies, which means the relation between God and creation, i.e. the questions of nature which neoplatonists saw resolved in the second half of the Parmenides. George of Pisidia, understood that the philosophical root of the question of the relation between God and creation could be found in the correct interpretation of the second half of the Parmenides. His readers agreed with this analysis and modified the text to ensure that it conformed with their opinions. The poem was central in byzantine culture, as one may see from the numerous manuscripts transmitting it and by the fact it was translated into classical Armenian and into Church Slavonic and was considered a classic within Byzantine literature. The paper will indicate how the reading of the second half of Parmenides was different in the fifth century (Proclus), sixth century (Damascius and Dionysius the Areopagite) and the new context of the seventh century Constantinople.

 

Il Parmenide di Platone nella Costantinopoli del settimo secolo. L’ Esaemerone di Giorgio di Pisidia

La poesia di Giorgio di Pisidia dedicata a Sergio, patriarca di Costantinopoli (610-638) sulla natura della realtà, intitolata Esaemerone, offre dati importanti sulla lettura diretta del Parmenide di Platone specialmente la seconda metà del dialogo. La poesia descrive la relazione tra Dio e la creazione ed il tono è sia cristiano che filosofico. Il contesto è importante vista la controversia al tempo di Giorgio di Pisidia che riguardava l’idea che Cristo avesse due energie e due volontà, il che significa che un individuo contiene sia principi infiniti che finiti all’interno della propria persona.

Questo dibattito, nel quale il patriarca Sergio era protagonista, fu centrale nella lettura del neoplatonismo a Bisanzio. Si sa che Massimo il Confessore (580-662) utilizzò argomenti presenti in Proclo per argomentare il suo punto di vista nella teologia ortodossa. Utilizzare le idee di Proclo ed i suoi testi era accettabile visto che Dionigi l’Areopagita aveva forti legami con il sistema di Proclo.  Al tempo dell’Esaemerone, la questione delle due volontà ed energie non era ancora risolta e dunque era un testimone importante della lettura del Parmenide di Platone e delle sue ipotesi. È una fonte per lo status quo della ricezione di una lettura neoplatonica del Parmenide negli anni 610-638.

 

Alle linee 1648-1677 in particolare dell’Esaemerone, il poeta sviluppa il contrasto tra l’Uno ed i Molti. La presentazione proporrà la tesi che la distinzione ed il contrasto furono tratti direttamente dalla seconda metà del dialogo platonico. Il suo interesse è principalmente ontologico e focalizzato specificatamente sulla relazione tra il divino e la creazione. È un poema notevole, poichè si vedono spesso autori tardo-antichi che citano interpretazioni neoplatoniche nella seconda del Parmenide di Platone, ma non  nei termini utilizzati direttamente da Platone. Presuppongono che l’interpretazione neoplatonica è più o meno corretta ed utilizzano le loro interpretazioni, senza riferirsi al dialogo originale. I neoplatonici erano soliti considerare le ipotesi della seconda metà del dialogo come rappresentazioni ontologiche della realtà. (per esempio Plotino Enneade 5.1, Proclo in Parmenidem e Proclo Teologia Platonica 1.10). Inoltre, una tale lettura della gerarchia della realtà fu accolta da Dionigi l’Areopagita (che coniò il termine gerarchia).

La poesia utilizza una terminologia derivante direttamente dalla seconda parte del dialogo di Platone. La discussione a proposito dell’Uno e dei Molti è collegata con l’interpretazione del dialogo fatta da Proclo e dalla sua scuola. Dunque, quando si legge questa sezione del poema si deve tener conto sia il testo originale del dialogo che l’interpretazione di Proclo. Uno dei motivi è la questione del lettore. L’editore Gonnelli ha identificato un numero importante di varianti nel testo proprio a questo punto. La questione non è filologica ma filosofica. Le varianti testuali sono dovute al significato del testo e la relazione con le controversie contemporanee.

Giorgio di Pisidia presentò un’interpretazione della seconda metà del Parmenide che risultava controversa nel settimo secolo. L’Esaemerone interpreta sia il dialogo Platonico e le letture neoplatoniche all’interno del contesto della controversia monoergista e monotelita. I lettori successivi hanno modificato il testo precisamente sulla questione della relazione tra l’Uno e i Molti. La questione non riguarda la prima ipotesi quanto quelle successive, poichè si considerava che esse descrivessero lo status della realtà intellettuale. Nel sesto e nel settimo secolo l’argomento divenne importante visto che c’era una disputa sulle energie/forze e sulla natura della physis e dei principi che la governavano. Dunque questi versi si occupano del problema di Filopono e Simplicio. Vale la pena ricordare che il destinatario del poema, Sergio Patriarca di Costantinopoli, fu condannato al terzo concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681). Questo fu il sinodo che promosse l’ortodossia di Massimo il Confessore. L’argomento di discussione di questo concilio era proprio la questione delle energie, che significa la relazione tra Dio e creato, cioè la natura che i neoplatonici consideravano risolta nella seconda metà del Parmenide.  Giorgio di Pisidia comprese che la radice filosofica della questione della relazione tra Dio e creato poteva essere trovata nell’interpretazione corretta della seconda metà del Parmenide. I suoi lettori concordarono con questa analisi e modificarono il testo per assicurarsi che si conforrmasse con le loro opinioni. La poesia era centrale nella cultura bizantina, come si può vedere dai numerosi manoscritti che la tramandano e dal fatto che fu tradotto in armeno classico e nel paleoslavo e fu considerato un classico nella letteratura bizantina. La presentazione indicherà come la lettura della seconda metà del Parmenide fu differente nel quinto secolo (Proclo), sesto secolo (Damascio, Dionigi l’Areopagita) e nel nuovo constesto della Costantinopoli del settimo secolo.

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