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Il Parmenide di Platone fra il Περὶ τοῦ μὴ ὄντος di Gorgia e il Περὶ τοῦ ὄντος di Protagora : l’ombra dei sofisti nella γυμνασία

 

 

Come è ben noto Platone sviluppa nel Parmenide la propria riflessione sulla filosofia eleatica nel codice di un dialogo che in un’Atene della metà del V secolo un Socrate ancora giovane intreccia con il vecchio Parmenide e il suo fedele discepolo Zenone. Tra il momento in cui Platone immagina l’incontro nella casa di Pitodoro e quello della composizione del dialogo la filosofia degli Eleati ha certo conosciuto interpretazioni, rivisitazioni, critiche di natura diversa di cui certo Platone, al di là della finzione letteraria, non può non aver tenuto conto. Del resto, lo stesso racconto sul destino del λόγος di Zenone evoca attacchi sviluppati da altri pensatori contro Parmenide quale motivazione della βοήθεια del più giovane discepolo (128c-e). E la stessa prima parte del Parmenide mette in scena la confutazione da parte di Socrate del λόγος di Zenone e la successiva reazione di Parmenide (128e-135c): nella cornice del dialogo Platone ci offre forse un esempio idealizzato dell’ampio dibattito sviluppatosi tra V e IV secolo intorno al pensiero di Parmenide. Da tempo molti interpreti hanno messo in luce l’importanza della ricezione del pensiero eleatico nella sofistica, non poche delle dottrine ontologiche, linguistiche e retoriche dei sofisti possono essere lette nel quadro di una rivisitazione di assunti parmenidei (cf. ad. es. Bonazzi 2010 pp. 26-57 e Casertano 2015 pp. 45-77). E la critica, mi riferisco soprattutto all’importante contributo di Palmer 1999, ha ipotizzato che l’interpretazione sofistica del pensiero eleatico svolga un ruolo non marginale nei dialoghi di Platone, in particolar modo nel Parmenide.

Il presente contributo intende analizzare l’eventuale presenza nel Parmenide di dottrine riconducibili ai due più importanti esponenti della sofistica, Gorgia e Protagora, con particolare riferimento alla seconda parte del dialogo, la cosiddetta γυμνασία.

Numerosi interpreti hanno colto echi del Περὶ τοῦ μὴ ὄντος di Gorgia, opera in cui il sofista rovesciava le tesi sull’essere di Parmenide per dimostrare i tre κεφάλαια in base a cui niente è, e se anche ci fosse qualcosa questo non potrebbe essere conosciuto, e se fosse possibile conoscerlo non si potrebbe comunicarlo ad altri (MXG 979a12-13 = 32D26LM). Più in particolare, come già riconoscevano fra gli altri da Diès 1923 p. 19, Wahl 19514 pp. 56-57 e Calogero 19772 pp. 269-311 e come ha confermato in prospettiva analitica Palmer 1999 pp. 112-117, la strategia argomentativa utilizzata da Parmenide nella I ipotesi presenta caratteri simili a quella impiegata dal sofista nel proprio λόγος. Più nello specifico, l’argomento di 138a-b relativo all’impossibilità per l’uno di trovarsi in un luogo è sostanzialmente lo stesso proposto per l’essere in MXG 979b23-27. La distinzione fra tipi di κινήσεις sviluppata da Parmenide in 138b-139a per mostrare che l’uno non può muoversi presenta somiglianze con MXG 980a1-3. La stessa conclusione della prima ipotesi, relativa alla inesistenza dell’uno e all’impossibilità di un suo λόγος e di una sua δόξα (141e-142a) potrebbe alludere ai tre κεφάλαια gorgiani (cf. Brémond 2018), del resto evocati probabilmente da Parmenide già nella discussione con Socrate (135a-b, cf. Hays 1990 pp. 335-337).  Ma al di là della prima ipotesi tracce di un’influenza gorgiana sono ravvisabili anche in altri passi della γυμνασία. Ad esempio la V ipotesi (161e-162b) si richiama forse all’ἴδιος ἀπόδειξις di Gorgia per l’essere dello ἓν οὐκ ὄν (cf. Dixsaut 2002 pp. 194-205).

Se la presenza di echi gorgiani è generalmente rilevata dagli interpreti moderni, più difficili da cogliere sono eventuali richiami a Protagora. Secondo Palmer 1999 p. 116 n. 36 se, come nel caso del λόγος di Gorgia, avessimo una conoscenza più ampia del Περὶ τοῦ ὄντος di Protagora sarebbe possibile riconoscere nel Parmenide una presenza altrettanto estesa di quest’opera. L’esistenza dell’opera è nota solo grazie ad un estratto della Φιλόλογος ἀκρόασις di Porfirio (apud Eus. PE X 3, 24-25 = 410F Smith = 80B2DK = 31R2LM), secondo il quale Platone avrebbe attinto dal Περὶ τοῦ ὄντος di Protagora argomenti contro chi concepiva l’essere come uno, πρὸς τοὺς ἓν τὸ ὂν εἰσάγοντας. Il riferimento è molto probabilmente al Parmenide. Purtroppo l’estratto si interrompe prima che siano spiegate le ragioni dell’affermazione (cf. Männlein-Robert 2001, pp. 284-285). Il tema della ripresa da parte di Platone di opere di Protagora non è isolato dal momento che anche Aristosseno sosteneva che Platone avesse ripreso le Antilogie del sofista per la Repubblica (67 Wehrli = 80B5DK = 31R2LM, cf. Corradi 2013). Non deve inoltre stupire la presenza di argomenti antieleatici in Protagora: non pochi interpreti hanno considerato l’Ἀλήθεια di Protagora come una risposta alla posizione di Parmenide (cf. ad es. Heitsch 1969, ma si consideri già la testimonianza di Simplicio, In Phys. 1108.14-29 = 80A29DK = 20D12bLM, relativa al dibattito fra Zenone e Protagora sul problema del molteplice).

Ma in quali passi del Parmenide è verisimile cogliere un’eventuale ripresa di riflessioni protagoree sulla quale avrebbe potuto fondarsi la notizia conservata da Porfirio?  Certo l’insieme della γυμνασία potrebbe essere considerata una applicazione del principio antilogico protagoreo in base al quale su ogni tesi, in questo caso quella dell’essere dell’uno, è possibile sviluppare due discorsi contrapposti (80B6a DK = 31D26LM). Ma è plausibile richiamare elementi più specifici. Nella V ipotesi emerge il problema dell’impossibilità del falso (161e-162a) che può essere messo in relazione con la problematica dell’οὐκ ἔστιν ἀντιλέγειν che l’Eutidemo (286c = 80A19DK = 31R10LM) riconduce a Protagora e con la verità di tutte le opinioni che emerge in relazione all’uomo-misura ad esempio nell’apologia del Teeteto (167d, cf. Tabak 2015 pp. 108-118). Nella VII ipotesi l’analisi delle conseguenze per gli altri dal fatto che l’uno non sia fa emergere un mondo limitato alla sfera dalla pura apparenza in cui ai particolari sensibili non può essere attribuito stabilmente alcun carattere determinato, un mondo che, come è stato notato, appare vicino a quello presupposto dal principio protagoreo dell’uomo-misura almeno nell’interpretazione che di esso Platone offre nel Teeteto (152d ss., cf. Ferrari 2004 p. 361). Altri possibili elementi protagorei potrebbero celarsi nella I ipotesi dietro al richiamo alla tematica della misura (140b-d), certo centrale per il pensiero di Protagora (80B1DK = 31D9LM), e nell’analisi delle tre declinazioni temporali dell’essere attraverso le corrispondenti forme verbali (140d-141e) da mettere forse in relazione con l’attribuzione a Protagora di una riflessione sui μέρη χρόνου (80A1DK = 31D20LM, cf. Dunn 2001).

Una volta evidenziati i numerosi echi possibili delle opere dei due sofisti nel Parmenide, resta aperto il problema di stabilire il motivo della loro presenza nel dialogo. Forse potrebbero essere richiamati per sostenere il carattere ironico della γυμνασία, come ad esempio fa Calogero 19772 nella prospettiva di una dissoluzione platonica dell’eleatismo. Altri interpreti hanno pensato che il reale oggetto della confutazione platonica fossero proprio le dottrine sostenute dai sofisti (Palmer 1999 o Tabak 2015) o la ripresa di tali dottrine in pensatori più tardi (Wahl 19514 pp. 59-60). È però forse plausibile proporre una lettura più positiva. Se, come abbiamo avuto modo di sottolineare, non era possibile che Platone eludesse per lo studio dell’eleatismo la riflessione di Protagora e Gorgia, ad un tempo non poteva trascurare il contributo che Protagora e Gorgia avevano dato, pur con scopi in parte criticabili nella prospettiva platonica, allo sviluppo di quel metodo del διαλέγεσθαι che da Zenone giunge, perfezionandosi, alla γυμνασία del Parmenide (cf. Berti 1987 pp. 13-101), quale esercizio imprescindibile per chi voglia consacrarsi alla ricerca sulla verità (cf. Ferrari 2009), dando vita a quella πραγματειώδης παιδιά, frutto maturo del sofisticato παίγνιον elaborato da Gorgia per difendere Elena (80B11DK = 32D24LM).

 

Le Parménide de Platon entre le Περὶ τοῦ μὴ ὄντος de Gorgias et le Περὶ τοῦ ὄντος de  Protagoras : l’ombre des sophistes dans la γυμνασία

 

Comme on le sait, Platon développe dans le Parménide sa réflexion sur la philosophie éléatique dans le cadre d’un dialogue qu’un Socrate encore jeune entame avec le vieux Parménide et son fidèle disciple Zénon dans l’Athènes de la moitié du Ve siècle. Entre le moment où se situe la rencontre qui a lieu dans la maison de Pythodore telle que la rapporte Platon et celui de la composition du dialogue, la philosophie éléatique a assurément connu des interprétations, des réélaborations, des critiques de diverses natures dont Platon, au-delà de la fiction littéraire, ne pouvait pas ne pas tenir compte. D’ailleurs le récit lui-même sur le λόγος de Zénon évoque des attaques développées par d’autres penseurs contre Parménide, attaques qui ont provoqué la βοήθεια de Zénon (128c-e). Et la première partie du dialogue elle-même met en scène la réfutation par Socrate du λόγος de Zénon, elle-même suivie de la réaction de Parménide (128e-135c). Platon offre donc, dans ce dialogue, un exemple idéalisé du débat autour de la pensée de Parménide qui avait fait florès entre Ve et IVe siècle.

Depuis plusieurs années de nombreux commentateurs ont souligné l’importance de la réception de la pensée éléatique dans la sophistique : maintes doctrines ontologiques, linguistiques et rhétoriques des sophistes peuvent être interprétées dans le cadre d’une réélaboration de thèses parménidéennes (cf. p. ex. Bonazzi 2010 p. 26-57 et Casertano 2015 p. 45-77). Nombre de commentateurs – il suffit de penser à l’étude fondamentale de Palmer 1999 – ont avancé l’hypothèse que l’interprétation sophistique de l’éléatisme joue un rôle important dans les dialogues platoniciens, notamment dans le Parménide.

La présente contribution se propose d’analyser la présence éventuelle dans le Parménide, plus particulièrement dans la seconde partie du dialogue – la soi-disant γυμνασία –, de doctrines remontant aux deux représentants les plus importants de la sophistique, Gorgias et Protagoras. Nombreux sont en effet les interprètes qui ont décelé des allusions au Περὶ τοῦ μὴ ὄντος de Gorgias, œuvre dans laquelle le sophiste renversait les thèses parménidéennes sur l’être pour démontrer les trois κεφάλαια selon lesquels : rien n’est ; à supposer même qu’il y ait quelque chose l’on ne pourrait pas le connaître ; et quand bien même il y aurait quelque chose et qu’il serait possible de le connaître, on ne pourrait pas le communiquer à autrui (MXG 979a12-13 = 32D26LM). Comme l’ont déjà remarqué Diès 1923 p. 19, Wahl 19514 p. 56-57 et Calogero 19772 p. 269-311, et comme l’a confirmé dans une perspective analytique Palmer 1999 p. 112-117, la stratégie argumentative que Parménide utilise dans la première hypothèse présente des caractères similaires à ceux du λόγος du sophiste. Ainsi en est-il de l’argument avancé en 138a-b concernant l’impossibilité pour l’un de se trouver quelque part qui est quasiment le même que celui que Gorgias avance à propos de l’être dans le MXG 979b23-27. De même, la distinction entre les types de κινήσεις que Parménide développe en 138b-139a pour montrer que l’un ne peut pas se mouvoir présente des similitudes certaines avec le MXG 980a1-3. La conclusion elle-même de la première hypothèse, qui parvient à démontrer l’inexistence de l’un et l’impossibilité de son λόγος et de sa δόξα (141e-142a) pourrait faire allusion aux trois κεφάλαια gorgiens (cf. Brémond 2018), lesquels sont d’ailleurs déjà probablement évoqués dans le dialogue par Parménide dans la discussion qu’il a avec Socrate (135a-b, cf. Hays 1990 p. 335-337). Mais, même au-delà de la première hypothèse, il est également possible de découvrir des traces d’une influence gorgienne dans d’autres passages de la γυμνασία. La cinquième hypothèse (161e-162b), par exemple, renvoie peut-être, pour ce qui est de l’être du ἓν οὐκ ὄν, à l’ἴδιος ἀπόδειξις de Gorgias, ou, à tout le moins, pourrait l’évoquer (cf. Dixsaut 2002 p. 194-205).

Si la présence d’échos gorgiens a été remarquée par de nombreux interprètes modernes, la présence d’allusions à Protagoras est en revanche plus difficile à déceler. Selon Palmer 1999 p. 116 n. 36, si nous disposions, comme c’est le cas du λόγος de Gorgias, d’une connaissance plus large du Περὶ τοῦ ὄντος de Protagoras, il serait probablement aisé de découvrir dans le Parménide nombre d’allusions à cet ouvrage. Malheureusement, les seuls renseignements concernant cet ouvrage se trouvent dans un extrait de la Φιλόλογος ἀκρόασις de Porphyre (apud Eus. PE X 3, 24-25 = 410F Smith = 80B2DK = 31R2LM), selon lequel Platon aurait tiré du Περὶ τοῦ ὄντος de Protagoras des arguments contre les penseurs monistes, πρὸς τοὺς ἓν τὸ ὂν εἰσάγοντας. Le texte se réfère probablement au Parménide mais, malheureusement, l’extrait s’interrompt avant que ne soient données les raisons de cette affirmation. (cf. Männlein-Robert 2001, p. 284-285). Cette idée selon laquelle Platon reprendrait dans ses dialogues des thèmes développés dans des ouvrages protagoréens n’est pas isolée ; Aristoxène soutenait, par exemple, que Platon s’était servi pour la rédaction de sa République des Antilogies de Protagoras, et que quasiment la totalité de la République provenait d’elles (67 Wehrli = 80B5DK = 31R2LM, cf. Corradi 2013). Il n’y a d’ailleurs pas lieu de s’étonner de la présence chez Protagoras d’arguments anti-éléatiques, et plusieurs interprètes considèrent que l’Ἀλήθεια de Protagoras est une réponse du sophiste aux positions de Parménide (cf. ad es. Heitsch 1969, mais voir aussi le témoignage de Simplicius, In Phys. 1108.14-29 = 80A29DK = 20D12bLM, concernant le débat entre Zénon et Protagoras sur la question de la multiplicité).

Reste à identifier les passages du Parménide dans lesquels il est possible de repérer avec quelque vraisemblance des allusions éventuelles à des réflexions protagoréennes sur lesquels Porphyre aurait pu s’appuyer. Certes, l’ensemble de la γυμνασία pourrait être considérée comme une application du principe antilogique protagoréen selon lequel, à propos de toute thèse – dans le cas qui nous occupe celle concernant l’être de l’un – il est possible de développer deux discours opposés (80B6a DK = 31D26LM). On peut toutefois repérer des éléments plus spécifiques. La cinquième hypothèse s’occupe du problème de l’impossibilité du faux (161e-162a). Cette question peut aisément être mise en rapport avec celle de l’οὐκ ἔστιν ἀντιλέγειν que l’Euthydème (286c = 80A19DK = 31R10LM) fait remonter à Protagoras, et également avec la thèse selon laquelle toutes les opinions sont vraies, thèse qui découlerait de celle de l’homme-mesure, selon l’Apologie du Théétète (167d, cf. Tabak 2015 p. 108-118). L’analyse des conséquences pour les autres du fait que l’un n’est pas fait émerger, dans la septième hypothèse, un monde circonscrit au domaine de l’apparaître dans lequel on ne peut attribuer de manière stable aux particuliers sensibles aucun caractère déterminé, un monde qui, comme cela a été remarqué, est très proche de celui que présuppose le principe protagoréen de l’homme-mesure, du moins dans l’interprétation que Platon en donne dans le Théétète (152d ss., cf. Ferrari 2004 p. 361). La première hypothèse pourrait elle aussi receler d’autres éléments protagoréens, ainsi du renvoi au thème de la mesure (140b-d), lequel est assurément central dans la réflexion de Protagoras (80B1DK = 31D9LM), et de l’analyse des trois déclinaisons temporelles de l’être à travers les formes verbales correspondantes (140d-141e) que l’on pourrait mettre en rapport avec l’attribution à Protagoras d’une réflexion concernant les μέρη χρόνου (80A1DK = 31D20LM, cf. Dunn 2001).

Une fois soulignés les nombreux échos possibles des ouvrages de deux sophistes dans le Parménide, reste à établir les raisons de leur présence. Il est certes possible de s’appuyer sur eux pour soutenir le caractère ironique de la γυμνασία, comme le fait Calogero 19772, qui les considère dans la perspective d’une dissolution platonicienne de l’éléatisme. Ou, comme d’autres interprètes l’ont pensé, on pourrait envisager que ce sont les doctrines sophistiques auxquelles Platon fait allusion (Palmer 1999 ou Tabak 2015) ou la reprise de ces doctrines par des penseurs postérieurs (Wahl 19514 p. 59-60) qui sont la véritable cible polémique de Platon. Il est toutefois peut-être plausible de proposer une interprétation plus positive. Si Platon, comme nous l’avons déjà souligné, ne pouvait pas faire abstraction, pour l’étude de l’éléatisme, de la réflexion de Protagoras et de Gorgias, il ne pouvait pas non plus – quand bien même leur contribution se fût proposé des buts qui, dans la perspective platonicienne, étaient en partie critiquables – négliger l’apport de ces deux sophistes au développement de cette méthode du διαλέγεσθαι qui, de Zénon, parvient, en se perfectionnant, à la γυμνασία du Parménide (cf. Berti 1987 p. 13-101), en tant qu’exercice incontournable pour qui voudrait se consacrer à la recherche de la vérité (cf. Ferrari 2009). Il est donc possible de percevoir dans la πραγματειώδης παιδιά du dialogue une sorte de fruit mature du παίγνιον sophistiqué que Gorgias avait élaboré pour la défense d’Hélène (80B11DK = 32D24LM).

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