The number as a prototype of “unified plurality” (Parm.147a3-6)
As well known, the second series of deductions related to the first hypothesis “the one is” (Parm.142b1-157b5) aims at examining the consequences for the “one” in relation to the others, i.e. for the “one” that participates in being. Within such a theoretical scenario, the being assigned to the “one” is clearly participative, for which whatever the “one” may be, that is whatever predicate is assigned to it, its being is linked to participating in that specific character. The determination of the being of the “one” in terms of participation allows also to assign this entity a series of qualifications, such as “being identical” and “being different”, which had not been assigned to the “one that is one”, i.e. only for itself, like in the first series of the exercise.
In this second deduction, the “one” participates in properties which are considered as parts belonging to it. The whole sequence can be divided into two parts: in the first, a notion of whole as the mere sum of its constituting parts is employed. If the whole represents all the parts, then the “one” (which is the whole), if identical to the parts intended as a collection of elements, loses its individuality; and in the second part of the exercise, we can find another notion of whole according to which the whole is more than the sum of its parts. With these assumptions, the aim of this study is to draw attention to the fact that within the framework representing this second series of deductions related to the first hypothesis “the one is”, and based on the assumption of a holistic and structural supposition, Plato formulates a conception of the number as a “unified plurality” (see Parm.147a3-6):
«However, neither do the not-ones participate in the one; for then they would not be not-one, but would, in some way, be one. —True. —So, neither would the not-ones be numbered for if they had number, at any rate, they would not be entirely not-one. —Indeed not»[1].
In this quotation, Plato seems to want to establish a bi-univocal correspondence between the fact that an entity results determined due to the limiting action exercised by the “one”, and the possibility that we may “have number” of it (Parm. 147a6, ἀριθμόν γε ἔχοντα). According to Scolnicov, «being numbered is to be a unified plurality. But the others are here considered as ‘entirely not one’. And insofar as the not-ones do not participate in the one, they cannot be such as to be an ἀριθμός, a ‘thing numbered’— that is, they cannot be a denumerable plurality»[2]. As anticipated earlier, this study aims at drawing attention to the conception of the number as expressed in this locus platonis. In particular, the unity represents the condicio sine qua non for the number to have determinacy, and this depends on the assumption of a structural and holistic presupposition. In this way, the primary aspect of the numbers is neither to be συνθέσεις μονάδων, nor to be πλήθη μονάδων, as the Pythagoreans thought, but this aspect consist of the fact that numbers have to be considered as unities within which multiplicity has to be structured, a sort of self-contained unit that exercises a delimiting function towards multiplicity.
This conception of the number intended as unified plurality (Parm.147a3-6), alludes to the so-called ideal number which, as we know, Aristotle credits to Plato. The existence of the ideal number disjointed from the mathematical number, has always been a source of interpretation difficulties. Notwithstanding this, it is possible to state with certainty that Plato would have considered arithmetical numbers as “combinable”, and the ideal numbers as “non-combinable”: the former would thus be thought as aggregates of undifferentiated units, while the latter, not consisting of units, could not be used in mathematical operations (Metaph. XIII 6. 1080a17-23, 1081b35-1082 a20 etc.) because of their formal and qualitative ontological identity. As regards this distinction between ideal and arithmetical numbers, it is necessary to clarify that the former are non-combinable because each is τᾡ εἴδει different form another, so they only differ according to πρότερον and ὕστερον; the latter, instead, are consecutive; their units are not formally distinct one from another – which is what makes them combinable and allows the numbers to generate other numbers through reiterated sums. In this way, the link between the ideal numbers is the μετά, while the one between the mathematical numbers is the πρός, i.e. the sum.
Il numero come prototipo di “pluralità unificata” (Parm.147a3-6)
Come noto, la seconda serie di deduzioni relative alla prima ipotesi “l’uno è” (Parm.142b1-157b5) si propone di esaminare le conseguenze per l’“uno” considerato in relazione agli altri, e cioè per l’“uno” che partecipa dell’essere. All’interno di un simile scenario teorico, l’essere assegnato all’“uno” è chiaramente partecipativo, per cui qualsiasi cosa l’“uno” sia, vale a dire qualsiasi predicato venga a esso assegnato, il suo essere è vincolato alla partecipazione di quel determinato carattere. La determinazione dell’essere dell’uno in termini di partecipazione consente anche di assegnare a questa entità una serie di qualificazioni ‒ come ad esempio l’“essere identico” e l’“essere diverso” ‒ che erano state invece sottratte all’ “uno che è uno”, considerato cioè solo in virtù di sé stesso, e oggetto della prima serie di deduzioni dell’esercizio. In questa seconda deduzione l’uno viene dunque considerato come possessore “generoso” di parti, cioè come “partecipante” a proprietà appunto concepite come sue parti.
L’intera sequenza può essere suddivisa in una prima parte, in cui viene impiegata una nozione di intero inteso come mera somma delle sue parti costitutive: se l’intero si identifica con tutte le parti, allora l’uno (che è l’intero) se è identico a tutte le parti collettivamente, non lo è individualmente. E una seconda parte, in cui sembra essere presupposta un’altra nozione di intero; vale a dire, non più quella per cui esso risulta identico alle parti (ontologia della composizione), bensì quella in base alla quale l’intero è qualcosa di unitario e differente dalle sue parti costitutive (ontologia olistica). Fatte queste premesse, con il presente studio mi propongo di richiamare l’attenzione sul fatto che all’interno della cornice rappresentata da questa seconda serie di deduzioni relative alla prima ipotesi “l’uno è”, e in seguito all’assunzione di un presupposto olistico e strutturale, Platone giunge alla formulazione di una concezione del numero inteso come “pluralità unificata”. In proposito, è opportuno prestare attenzione a quanto affermato in Parm.147a3-6:
«Ma ciò che non è uno non partecipa certo dell’uno, altrimenti non sarebbe “non uno”, ma in qualche modo “uno”. […] Ciò che non è uno non sarà neppure numero, perché se avesse numero non sarebbe assolutamente “non-uno”»[3].
Nel passo in questione, Platone sembra voler stabilire una corrispondenza biunivoca tra il fatto che un ente risulti determinato, sulla base dell’azione limitante esercitata dall’ “uno”, e la possibilità che di esso si possa “avere numero” (Parm. 147a6, ἀριθμόν γε ἔχοντα). A commento del passo, Scolnicov afferma che «being numbered is to be a unified plurality. But the others are here considered as ‘entirely not one’. And insofar as the not-ones do not participate in the one, they cannot be such as to be an ἀριθμός, a ‘thing numbered’— that is, they cannot be a denumerable plurality»[4].
Come anticipato poc’anzi, è propriamente sulla concezione del numero ricavabile in questo luogo platonico che il presente studio si propone di richiamare l’attenzione. In particolare, il fatto che l’unità rappresenti la condicio sine qua non rispetto alla determinazione stessa del numero non può che essere fondata sull’assunzione di un presupposto strutturale e olistico, per cui l’intero risulta essere qualcosa di unitario e differente rispetto alle sue parti costitutive. In questo modo, i numeri non sono in primo luogo συνθέσεις μονάδων, “aggregati di unità”, oppure πλήθη μονάδων, “pluralità di unità”, come volevano i Pitagorici, ma essi si configurano innanzitutto come “pluralità unificata”. Con ciò si vuole significare che i numeri devono essere considerati primariamente come unità entro le quali il molteplice viene a essere strutturato; una sorta di figura-forma che svolge una funzione delimitante rispetto alla molteplicità. Sulla base di un simile presupposto teorico, a emergere è l’aspetto qualitativo del numero, e cioè la sua natura formale o strutturale, distinta dalla mera somma delle sue parti. Una simile concezione del numero, così inteso come pluralità unificata (Parm.147a3-6), sembra rinviare al cosiddetto numero ideale che, come noto, la testimonianza di Aristotele attribuisce a Platone. L’esistenza di questa seconda specie di numero, distinto da quello matematico, è da sempre fonte di gravi difficoltà interpretative. Nonostante ciò è possibile affermare con certezza che Platone avrebbe considerato i numeri aritmetici come “combinabili”, e quelli ideali come “non combinabili”: i primi sarebbero dunque pensati come aggregati di unità indifferenziate, mentre i secondi non sarebbero soggetti a operazioni matematiche (Metaph. XIII 6. 1080a17-23, 1081b35-1082 a20 ecc.) per via della loro identità ontologica di carattere formale e qualitativo. In merito a questa distinzione tra i numeri ideali dai numeri aritmetici, è opportuno precisare che i primi sono incombinabili in quanto ogni numero è diverso τᾡ εἴδει dall’altro, per cui essi si distinguono solo secondo πρότερον e ὕστερον; i secondi sono, invece, consecutivi; le loro unità non sono distinte formalmente – ciò che le rende combinabili e permette ai numeri di generarsi per somme reiterate. Il legame fra i numeri ideali è dunque il μετά, mentre quello fra i matematici il πρός, cioè l’aggiunta.
[1] Cf. Plato’s Parmenides, Translated with an Introduction and Commentary by S. Scolnicov.
[2] Cf. Plato’s Parmenides, Translated with an Introduction and Commentary by S. Scolnicov, pag.115.
[3] Cf. Platone, Parmenide, Introduzione, traduzione e note a cura di F. Ferrari.
[4] Cf. Plato’s Parmenides, Translated with an Introduction and Commentary by S. Scolnicov, pag.115.