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La peculiare solennità dell’isagoge procliana al Parmenide di Platone

 

Prima di ogni inizio i Neoplatonici sono soliti discutere, attraverso notazioni di metodo, la natura dei dialoghi platonici: ciò accade in scritti propriamente isagogici, ma ciò accade talvolta anche prima dell’inizio del commento di un dialogo (Procl. in Parm. I 618,21 Luna-Segonds=I 618,15 Steel), come mostra la struttura di quei commenti procliani pervenutici assieme alla loro sezione isagogica. Questo metodo, ereditato dalla tradizione medioplatonica, sembra infatti essere stato perfezionato all’interno della scuola di Atene proprio da Proclo, il quale discute preliminarmente l’utilità e l’imprescindibilità delle indicazioni esegetiche. Tali indicazioni nella premessa del Commento al Parmenide sono racchiuse in una eccezionale e solenne cornice. Ciò è oltremodo significativo, perché è come se, nella premessa e prima ancora di essere esplicitato, il contenuto del dialogo fosse presentato da Proclo in una immagine che è la massima espressione della poesia dei teologi e la cui funzione filosofica è quella di mettere il lettore nella condizione di valutare il legame tra il contenuto del dialogo e il metodo usato per l’esegesi. Tale metodo risulta dall’accordo dell’insegnamento dialettico con le realtà ed è il risultato dello sforzo della ragione che lavora per conferire una peculiare forma di evidenza alle divine realtà metafisiche. Il dialogo si divide in due parti, la cui conciliazione non è priva di difficoltà, e due sono anche le parti della premessa – il cui esame è al centro di questa proposta di intervento – che Proclo prepone al Parmenide (I 617,1-658,30 L.-S.=I 617,1-658,22 S.). La premessa, che contiene una invocazione agli dèi e discute questioni pregiudiziali, accorda poesia mistagogica e indicazioni metodologiche facendo convergere il tutto in una precisa unitaria finalità collegabile all’unico σκοπός del dialogo. L’individuazione e la comprensione di tale finalità – come si mostrerà – sono in grado di incidere sulla ridefinizione dell’importanza del Parmenide nell’intero quadro non solo dottrinale ma anche metodologico neoplatonico.

Sin da Omero, cioè sin dagli inizi della letteratura greca, l’incipit, costituito dall’inno alle Muse, rappresenta il luogo in cui il divino e l’umano comunicano. Nell’Iliade come nell’Odissea l’invocazione alle Muse dichiara la provenienza divina della poesia: tuttavia, mentre nell’Iliade il poeta, invocando la Musa, diventa lo strumento attraverso il quale la Dea canta agli uomini le gesta degli eroi, nell’Odissea il poeta invoca la Musa con una presa di coscienza maggiore. La divinità e l’uomo hanno in questo proemio omerico quasi pari rilievo, come mostra il fatto che il poeta si inserisca nell’invocazione con il pronome personale μοι (Hom. Od. 1,1), lasciando così emergere i contorni della propria figura e un suo proprio ruolo. L’inizio dell’Odissea è più vicino agli intenti di Proclo, ammiratore di Omero e di quella poesia ispirata destinata – come lo sono il Poema di Parmenide e anche, benché in prosa, il Parmenide – a iniziati, cioè a studenti predisposti e preparati ad accogliere la luce della verità. Proclo invoca con un inno gli dèi, facendo riferimento alle classi divine che corrispondono ai livelli dell’essere discussi nell’esercizio dialettico nella seconda parte del dialogo, affinché la sua anima (in Prm. I 617,1-13 L.-S. = I 617,1-9 S.) possa essere accompagnata dalla guida ispirata di Platone. In questa prima delle due parti che andranno a costituire la presente comunicazione si osserverà come Proclo rielabori l’esperienza poetico-teologica omerica per legarla ai metodi dell’esegesi allegorica. L’obiettivo è evidenziare cosa comporti questa invocazione agli dèi nell’economia del commento – invocazione che, per posizione, forma e contenuti, è un unicum nei commenti procliani – e attraverso la quale Proclo ottiene di introdurre i suoi iniziati nel modo più appropriato, e quindi col metodo più appropriato, alla mistica visione che Platone rivela nel Parmenide.

Tuttavia la premessa procliana non è soltanto una preghiera che identifica in Platone quell’autorità poetico-religiosa in grado di rendere la sua filosofia una mistagogia. Invero la premessa non disegna solo la figura del poeta-teologo, ma anche – come si argomenterà – quella del maestro di dialettica. Il Parmenide è uno scritto teologico in cui proprio l’esposizione dialettica è ciò che conferisce un’articolazione unitaria, sistematica ed esauriente delle realtà in sommo grado, cioè delle classi degli dèi. E questo è principalmente ciò che nella seconda parte della comunicazione si farà emergere, mettendo in luce le straordinarie capacità esegetiche degli antichi commentatori assieme al significato metafisico che la stessa attività esegetica custodisce. Il ben noto ossimorico progetto ateniese di una ‘scienza teologica’ influenza la nascita della scienza esegetica. Tale scienza è subordinata a quella teologica, perché presuppone la ormai avvenuta costituzione di una dottrina che ora necessita di essere trasmessa in forma adeguata e coerente con i suoi contenuti attraverso l’uso di specifici elementi esegetici. Dimostrare ciò implicherà ridefinire, ampliandoli, i termini che consentono di affermare la centralità del Parmenide nella tradizione platonica: sarà infatti necessario osservare non solo come il dialogo incida nel conferire forma scientifica alla teologia ma anche come la teologia in esso esposta influenzi la definizione di un metodo esegetico che ha fondamento metafisico e forma scientifica.

Al fine di raggiungere questo obiettivo si procederà alla maniera neoplatonica, seguendo le indicazioni di Proclo, la cui esemplare premessa al testo del Parmenide è costruita con un lessico che oscilla tra due campi semantici, quello poetico-misterico e quello scientifico, per intrecciare prospettive contenutistiche non contraddittorie ma convergenti. Si osserverà come le indicazioni di metodo contenute nella premessa riflettano i contenuti del Parmenide così da evidenziare perché, se si può parlare di una scienza teologica, si può parlare anche di una esegesi che uniforma i suoi termini, la sua struttura e i suoi contenuti a quella dottrina che ha il fulcro nel dialogo collocato all’apice del curriculum neoplatonico. A questo punto, attraverso indicazioni storico-esegetiche e logico-metafisiche, sarà possibile dimostrare che la struttura narrativa dell’intero dialogo riflette il suo contenuto, riflette cioè la teoria delle Idee, e che è in base a questa relazione tra forma e contenuto che la prima e la seconda parte del dialogo possono essere tenute assieme. Infatti, applicando le indicazioni esegetiche di Proclo, l’intera struttura del dialogo va letta come l’immagine letteraria del processo emanativo delle Idee che dall’Intelletto raggiungono i diversi livelli dell’Anima, e la successione dei λόγοι, nelle quattro versioni – quella originale, quella di Pitodoro, quella di Antifonte e quella di Cefalo –, rappresenta a livello microcosmico l’universo metafisico neoplatonico. Questo e altri esempi rinvenibili all’interno di quell’immagine letteraria e dispiegata dell’universo metafisico che è il microcosmo dialogico metteranno in luce i legami tra le diverse parti dell’opera platonica e come ogni aspetto del testo contribuisca a definire l’intero Parmenide un ‘inno scientifico’ che celebra la genesi degli dèi e la dipendenza di tutti gli esseri dall’Uno.

A conclusione di questa disamina risulterà chiaro che εἶδος e ὕλη del Parmenide convergono armonicamente verso l’unico e unitario σκοπός, che σκοπός letterario e σκοπός metafisico coincidono e, quindi, che lo σκοπός, ossia lo strumento isagogico principe dell’esegesi, assieme alle altre questioni preliminari, non concerne solo l’insegnamento sulle realtà divine ma riproduce esso stesso a livello microcosmico gli aspetti delle realtà di cui tratta.

 

 

The Peculiar Solemnity of Proclus’ Isagoge to Plato’s Parmenides

 

Before embarking on his reading of a Platonic dialogue, a Neoplatonist commentator will typically discuss the nature of the dialogues in general, by offering some methodological observations. This is the case with the strictly isagogical writings, but at times remarks on the subject are introduced even before the beginning of the commentary on a dialogue, as is shown by the structure of those Proclean commentaries that have reached us along with their isagogical section. This method, inherited from the Middle Platonist tradition, would appear to have been perfected within the Athenian school by Proclus himself, who as a preliminary step discussed the usefulness and indispensability of exegetical guidelines. In the prologue to the Commentary on the Parmenides, these guidelines are set within a remarkable and solemn framework. This is particularly significant because it is as though in the introduction itself the content of the dialogue, even before being made explicit, were presented by Proclus through an image that encapsulates the poetry of the theologians and which serves the philosophical function of allowing the reader to evaluate the connection between the content of the dialogue and the exegetical method used. The latter stems from the agreement of dialectical teaching with reality. It is the outcome of an effort made by reason to lend a particular form of evidence to divine metaphysical realities. The dialogue is divided into two parts which are not easy to reconcile, as so is Proclus’ introduction to the Parmenides (I 617,1-658,30 L.-S.=I 617,1-658,22 S.) – the focus of this paper. The introduction, which features an invocation to the gods and discusses certain preliminary questions, combines mystagogical poetry and methodological guidelines in the pursuit of a single goal associated with the one and only σκοπός of the dialogue. As I will show, by identifying this goal, it is possible to redefine the importance of the Parmenides within the methodological as well as doctrinal framework of Neoplatonism.

From Homer onwards, which is to say from the dawn of Greek literature, the incipit, in the form of a hymn to the Muses, was a means to establish communication between the gods and men. In the Iliad as much as in the Odyssey the invocation to the Muses affirms the divine origin of poetry. However, whereas in the Iliad the poet, by invoking the Muses, becomes the instrument through which the goddess sings to men about the feats of heroes, in the Odyssey the poet invokes the Muse with greater awareness. The deity and man are almost on an equal footing in this Homeric proem, as is shown by the fact that the poet himself enters the invocation through the personal pronoun μοι, thereby emerging as a figure and highlighting his role. The opening of the Odyssey is closer to the aims of Proclus, who admired Homer and the inspired poetry that were intended for initiates, which is to say students predisposed and ready to receive the light of truth. Proclus invokes the gods through a hymn, referring to the various divine classes that correspond to the various levels of being, as discussed in the second part of the dialogue. In doing so, Proclus hopes that his own soul will be led by Plato’s inspired guidance. In the first of the two parts that make up my paper I will examine how Proclus reworks the Homeric poetic-theological experience in such a way as to connect it with the methods of allegorical exegesis. The aim is to highlight the significance of this invocation of the gods for the commentary as a whole – an invocation that, in terms of its position, form and content, finds no parallel in Proclus’ commentaries. Through this prologue Proclus is able to introduce his initiates to the mystical vision that Plato reveals in the Parmenides in the most appropriate way, which is to say with the most appropriate method.

However, Proclus’ prologue is not just a prayer that identifies Plato as the poetic-religious authority capable of making his philosophy a mystagogy. The prologue outlines not just the figure of the poet-theologian but also that of the master of dialectic. The Parmenides is a theological work in which the dialectic exposition is precisely what provides a unitary, systematic and exhaustive breakdown of the entities of the highest degree, the various classes of gods. This will be the chief focus of part two of the paper, which will highlight the remarkable exegetical abilities of the ancient commentators, along with the metaphysical significance of exegesis. The well-known oxymoronic Athenian plan to develop a ‘theological science’ influenced the birth of the science of exegesis. This science is subordinate to theology, because it presupposes a doctrine that must be transmitted in an adequate form and consistently with its content, through the use of specific exegetical elements. To illustrate this it will be necessary to redefine and broaden the reasons that make it possible to affirm the centrality of the Parmenides within the Platonic tradition: it will be necessary to examine not just how the dialogue helped give theology a scientific veneer, but also how the theology it expounds influenced the definition of an exegetical method that had a metaphysical foundation and took a scientific form.

In order to achieve this goal, I will proceed in Neoplatonic fashion. Proclus’ exemplary introduction to the Parmenides is based on the use of a language fluctuating between two semantic fields, the poetic-mystagogical field and the scientific one, in such a way as to combine perspectives that are convergent rather than contradictory. I will show how the methodological guidelines provided in the prologue reflect the contents of the Parmenides, in order to highlight why it is possible to speak not just of a theological science but also of a form of exegesis that makes its terms, structure and contents conform to that doctrine which finds its highest expression in the dialogue at the apex of the Neoplatonic curriculum. At this stage, in the light of certain historical-exegetical and logical-metaphysical guidelines, it will be possible to show that the narrative structure of the whole dialogue reflects its content, namely the theory of Ideas, and that this relation between form and content is what holds the two parts of the dialogue together. By applying Proclus’ exegetical guidelines, the whole structure of the dialogue may be interpreted as a literary image of the process of emanation of the Ideas, which reach the various levels of the Soul from the Intellect. The succession of λόγοι in the four versions – the original one and those of Pythodorus, Antiphon, and Cephalus – represents the Neoplatonist metaphysical universe at the microcosmic level. This and other examples of the dialogical microcosm as a literary and unfolding image of the metaphysical universe will highlight the connections between the various parts of Plato’s work and show how every aspect of the text contributes to defining the Parmenides as a ‘scientific hymn’ celebrating the genesis of the gods and the dependence of all beings upon the One.

By the end of this enquiry, it should be clear that εἶδος and ὕλη in the Parmenides harmoniously converge towards the one and only σκοπός; that the literary σκοπός and the metaphysical σκοπός coincide; and, therefore, that the σκοπός, which is to say the chief isagogical tool in exegesis, like the other preliminary questions, does not merely concern the teaching about divine entities, but actually reproduces the defining aspects of the reality it focuses on at the microcosmic level.

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