La maschera di Parmenide: riduzionismo ed equiparazionismo nella prima parte del Parmenide
Una tradizione interpretativa prestigiosa e ancora oggi abbastanza influente considera il Parmenide un punto di svolta della filosofia di Platone, e ritiene che in esso vengano gettate le basi per una sostanziale revisione della teoria delle idee, se non addirittura per un abbandono di essa. Secondo questa tendenza interpretativa, le obiezioni che il personaggio di Parmenide muove alla concezione delle idee avanzata da Socrate (e molto simile a quella esposta nel Fedone, nel Simposio e nei libri centrali della Repubblica) sono filosoficamente consistenti e determinano l’esigenza di riformulare in modo radicale questa concezione o addirittura di abbandonarla.
Si tratta di un punto di vista che reputo profondamente sbagliato, sia perché non esamina le obiezioni di Parmenide alla luce dei principali assunti della dottrina platonica, sia perché non valorizza il contesto dialogico in cui tali obiezioni vengono formulate. Alle spalle di questa tendenza ermeneutica si colloca poi l’errata convinzione che Parmenide rappresenti uno dei “padri” della filosofia platonica. In realtà, se si esaminano con attenzione i riferimenti a Parmenide contenuti nei dialoghi, si constata come, al di là delle apparenti dichiarazioni di ammirazione per il suo pensiero, Platone prenda sempre le distanze dai contenuti teorici attribuiti al pensatore di Elea.
Le sei obiezioni che Parmenide indirizza alle concezione delle idee sono il risultato dell’assunzione di un punto di vista estraneo al pensiero dialettico: si tratta in realtà di una prospettiva fisicista, equiparazionista e riduzionista, che tende ad assimilare la natura delle idee a quella dei particolari sensibili. Platone attribuisce un simile atteggiamento al personaggio di Parmenide perché si propone di evidenziare gli errori e i fraintendimenti ai quali si espone questo tipo di attitudine teorica, suggerendo in questo modo di abbandonarla. In altra parole, la prima parte del Parmenide contiene una “simulazione teorica” dei rischi ai quali si espone una falsa interpretazione della teoria delle idee. Le testimonianze relative ai dibattiti intorno alla teoria delle idee provano che questo tipo di interpretazione aveva dei sostenitori sia all’interno dell’Accademia (Eudosso e Aristotele), sia al di fuori di essa (Antistene). Dunque il Parmenide non è il manifesto dell’autocritica di Platone e ancora meno il programma di una revisione della teoria delle idee.
Dal punto di vista teorico l’intera serie delle obiezioni con le quali il personaggio di Parmenide ritiene di poter confutare la teoria delle idee si fonda sull’assunzione di una nozione simmetrica di separazione. In effetti, proprio all’inizio del suo intervento, Parmenide, modificando il punto di vista di Socrate (129d6-e4), concepisce la separazione delle idee e dei particolari come se si trattasse di una relazione simmetrica e reciproca, vale a dire come se i due ordini ontologici fossero reciprocamente separati (130b1-5): se A è separato da B, anche B è simmetricamente separato da A.
A partire da un simile schema simmetrico, discendono tutte le aporie collegate alla nozione di partecipazione. Quest’ultima costituisce per Platone una metafora, per mezzo della quale egli si propone di descrivere un fenomeno difficile e oscuro (Ti. 51a7-b2): la relazione che intercorre tra entità che si trovano fuori dallo spazio e fuori del tempo ed entità spazio-temporali. Il personaggio di Parmenide interpreta in maniera letterale la metafora della partecipazione e dunque si chiede se le cose sensibili partecipano dell’idea nella sua totalità oppure a parti di essa (kata mere), rilevando come entrambe le soluzioni risultano inconsistenti (131a4-6). Alle spalle del suo argomento agisce un assunto equiparazionista, che concepisce le idee come se avesssero le stesse caratteristiche logiche e ontologiche dei fenomeni spaziali. L’estraneità di un simile punto di vista alla dialettica trova conferma nello scambio di 131b3-9: a Socrate che propone di uscire dal dilemma paragonando la presenza dell’idea nei sensibili a quella del giorno, Parmenide risponde assimilando erroneamente questa presenza a quella di un velo. In questo modo egli fraintende completamente il ragionamento di Socrate, il quale intende sottolineare l’incommensurabilità tra due ordini ontologici, la cui relazione non può venire concepita in termini spaziali. Per Platone, a differenza di Parmenide, una proprietà può venire condivisa, senza per questo essere spazialmente divisa.
Anche l’obiezione successiva (132a1-b2), che risulta simile al celebre argomento del “terzo uomo”, presuppone l’assunzione di una prospettiva equiparazionista, che assimila l’essere delle idee a quello dei fenomeni sensibili. Parmenide non considera che l’idea di grandezza non è grande per partecipazione (pros allo), ma in se stessa (pros heauto), cioè in quanto corrisponde perfettamente alla nozione di “grande”. Egli commette l’errore di trattare allo stesso modo (hosautos: 132a6) l’“essere-F” di F-in sé e l’“essere-F” di una cosa che partecipa di F.
L’errore logico che Platone attribuisce al personaggio di Parmenide si perpetua in tutti gli argomenti con i quali il filosofo di Elea crede di confutare l’ipotesi delle idee. Anche l’ultimo, definito enfaticamente to megiston, riflette il vizio teorico riduzionista. Parmenide presuppone che la separazione tra idee e fenomeni sensibili sia simmetrica, e che, poiché le idee sono separate daile cose sensibili, anche queste ultime siano separate dalle idee (133c3-134a2). In questo modo egli non riconosce la funzione causale che le idee esercitano nei confronti dei fenomeni spazio-temporali, negando in questo modo uno dei presupposti fondamentali della concezione delle idee (Phd. 100b1-e3, 101a1-b2 ecc.). Per Platone la separazione equivale all’indipendenza ontologica (kath’heauto einai) e per questa ragione essa appartiene solo alle idee. Le cose sensibili non sono separate dalle idee, dal momento che dipendono ontologicamente da esse. La natura asimmetrica della separazione secondo Platone emerge chiaramente da uno degli assiomi collocati all’inizio del discorso di Timeo: tutto ciò che diviene, cioè il mondo fenomenico, diviene in virtù di una causa, poiché è impossibile che qualcosa si generi choris aitiou, cioè separatamente da una causa (Ti. 28a4-6). Dunque l’essere (to on) è separato, perché indipendente, mentre il divenire non è separato, perché richiede una causa.
Inoltre, nel momento in cui Parmenide considera le idee inconoscibili (agnosta), tralascia l’esistenza dell’anima, la quale, in quanto syngenes tou ontos, consente all’uomo di entrare in contatto con il mondo delle idee (Men. 81c9-d4, Phd. 79d3, Rp. 490a8-b7, 611e2, Phdr. 248b7-c1, Ti. 90a2-7 ecc.).
Le obiezioni di Parmenide sono dunque inconsistenti dal punto di vista della filosofia di Platone, e possono venire respinte all’interno della versione classica delle teoria delle idee, senza ricorrere a una nuova versione. Il personaggio di Parmenide non è l’“apostolo della dialettica” e tantomeno il rifondatore della concezione delle idee. Egli rappresenta il portavoce di un’attitudine teorica erronea, che non riconosce la differenza ontologica tra le idee e le cose, e che concepisce i due modi di essere (duo eide ton onton) come se fossero realtà dotate delle medesime caratteristiche logiche e ontologiche. Anche nella seconda parte del dialogo, all’interno della sua celebre gymnasia, il personaggio di Parmenide non abbandona la sua impostazione riduzionistica e continua a trattare le idee come se fossero estese nello spazio (e per ciò divisibili) e nel tempo (e dunque destinate a diventare più vecchie e più giovani).
La ragione per la quale Platone attribuisce a Parmenide una simile attitudine teorica risiede probabilmente nel fatto che ai suoi occhi l’universo del poema di Parmenide è un universo fisico e che dunque la maschera di Parmenide si adatta perfettamente a incarnare i vizi teorici della physiologia presocratica, ancora presenti nel dibattito sulla teoria delle idee.
Le masque de Parménide: réductionnisme et physicalisme dans la première partie du Parmènide
Une tradition interprétative prestigieuse et encore très influente considère le Parménide comme un tournant dans la philosophie de Platon, et croit que ce dialogue jette les bases d’une révision substantielle de la théorie des idées, sinon même de son abandon. Selon cette tendance interprétative, les objections que le personnage de Parménide soulève contre la conception des idées avancée par Socrate (et substantiellement identique à celle exposée dans le Phédon, dans le Banquet et dans les livres centraux de la République) sont philosophiquement cohérentes et déterminent la nécessité de reformuler radicalement cette conception ou même de l’abandonner.
C’est un point de vue que je considère comme profondément erroné, à la fois parce qu’il n’examine pas les objections de Parménide à la lumière des principales prémisses de la doctrine platonicienne, et parce qu’il ne tient pas compte du contexte dialogique dans lequel ces objections sont formulées. Derrière cette tendance herméneutique se cache la conviction erronée que Parménide représente l’un des “pères” de la philosophie platonicienne. En réalité, si l’on examine attentivement les références à Parménide contenues dans les dialogues, on constate qu’au-delà des déclarations apparentes d’admiration pour sa pensée, Platon s’éloigne toujours des contenus théoriques attribués au penseur d’Élée.
Les six objections de Parménide à la conception des idées sont le résultat de l’acceptation d’un point de vue étranger à la pensée dialectique: en réalité, il s’agit d’une perspective physicaliste et réductionniste, qui tend à assimiler la nature des idées à celle des phénomènes sensibles. Platon attribue une attitude similaire au personnage de Parménide, parce qu’il vise à mettre en évidence les erreurs et les malentendus auxquels ce type d’attitude théorique est exposé, suggérant ainsi de l’abandonner. En d’autres termes, la première partie du Parménide contient une simulation théorique des risques auxquels est exposée une fausse interprétation de la théorie des idées. Des témoignages de débats sur la théorie des idées prouvent que ce type d’interprétation avait des partisans tant à l’intérieur de l’Académie (Eudoxe et Aristote) qu’à l’extérieur (Antisthène). Par conséquent, le Parménide n’est pas le manifeste d’autocritique de Platon et encore moins le programme d’une révision de la théorie des idées.
D’un point de vue théorique, toute la série d’objections avec lesquelles le personnage de Parménide croit pouvoir réfuter la théorie des idées est basée sur l’acceptation (implicite) d’une notion symétrique de séparation. En effet, dès le début de son discours, Parménide, en modifiant le point de vue de Socrate (129d6-e4), conçoit la séparation des idées et des phénomènes comme s’il s’agissait d’une relation symétrique et réciproque, c’est-à-dire comme si les deux ordres ontologiques étaient mutuellement séparés (130b1-5): si A est séparé de B, B est aussi symétriquement séparé de A.
A partir d’un tel schéma symétrique, toutes les apories liées à la notion de participation redescendent. Pour Platon, ce dernier constitue une métaphore par laquelle il propose de décrire un phénomène difficile et obscur (Ti. 51a7-b2): la relation qui existe entre les entités qui sont hors de l’espace et hors du temps et les entités spatio-temporelles. Le personnage de Parménide interprète littéralement la métaphore de la participation et se demande donc si les choses sensibles participent à l’idée dans son intégralité ou en partie (kata mere), notant que les deux solutions sont incohérentes (131a4-6). Derrière son argumentation se cache une position réductionniste, qui conçoit les idées comme si elles avaient les mêmes caractéristiques logiques et ontologiques que les phénomènes spatiaux. L’extranéité d’un tel point de vue à la dialectique est confirmée par l’échange de 131b3-9: à Socrate, qui propose de sortir du dilemme de la partecipation en comparant la présence de l’idée dans le sensible à celle du jour, Parménide répond en assimilant par erreur cette présence à celle d’un voile. Il interprète ainsi de manière totalement erronée le raisonnement de Socrate, qui vise à souligner l’incommensurable entre deux ordres ontologiques, dont la relation ne peut être conçue en termes spatiaux. Pour Platon, contrairement à Parménide, une propriété peut être partagée, sans être divisée spatialement.
Même l’objection subséquente (132a1-b2), qui est semblable au fameux argument du “troisième homme”, présuppose l’acceptation d’une perspective égalitaire, qui assimile l’être des idées à celui des phénomènes sensibles. Parménide ne considère pas que l’idée de grandeur n’est pas grande pour la participation (pros allo), mais en soi (pros heauto), c’est-à-dire qu’elle correspond parfaitement à la notion de “grande”. Il commet l’erreur de traiter de la même manière (hosautos: 132a6) l'”être F” de F-en soi et l'”être F” d’une chose qui participe à F.
L’erreur logique que Platon attribue au personnage de Parménide est perpétuée dans tous les arguments avec lesquels le philosophe d’Éléa croit réfuter l’hypothèse des idées. Ce dernier, défini avec emphase comme un mégiston, reflète aussi le vice théorique réductionniste. Parménide présuppose que la séparation entre les idées et les phénomènes sensibles est symétrique, et que, puisque les idées sont séparées des choses sensibles, ces dernières sont également séparées des idées (133c3-134a2). De cette façon, il ne reconnaît pas la fonction causale des idées par rapport aux phénomènes spatio-temporels, niant ainsi l’une des hypothèses fondamentales de la conception des idées (Phd. 100b1-e3, 101a1-b2, etc.). Pour Platon, la séparation est équivalente à l’indépendance ontologique (kath’heauto einai) et pour cette raison, elle n’appartient qu’aux idées. Les choses sensibles ne sont pas séparées des idées, puisqu’elles en dépendent ontologiquement. La nature asymétrique de la séparation de Platon ressort clairement de l’un des axiomes placés au début du discours de Timée: tout ce qui devient, c’est-à-dire le monde phénoménal, devient en vertu d’une cause, puisqu’il est impossible qu’une chose soit générée choris aitiou, c’est-à-dire, séparément d’une cause (Ti. 28a4-6). Par conséquent, l’être (to on) est séparé parce qu’il est indépendant, alors que le devenir n’est pas séparé parce qu’il nécessite une cause.
De plus, lorsque Parménide considère que les idées sont inconnaissables (agnosta), il néglige l’existence de l’âme, ce qui, en tant que syngenes tou ontos, permet à l’homme d’entrer en contact avec le monde des idées (Men. 81c9-d4, Phd. 79d3, Rp. 490a8-b7, 611e2, Phdr. 248b7-c1, Ti. 90a2-7 etc.).
Les objections de Parménide sont donc incohérentes du point de vue de la philosophie de Platon, et peuvent être rejetées dans la version classique de la théorie des idées, sans recourir à une nouvelle version. Le personnage de Parménide n’est pas “l’apôtre de la dialectique” et encore moins le nouveau fondateur de la conception des idées. Il représente le porte-parole d’une attitude théorique erronée qui ne reconnaît pas la différence ontologique entre les idées et les choses, et qui conçoit les deux façons d’être (duo eide ton onton) comme s’il s’agissait de réalités ayant les mêmes caractéristiques logiques et ontologiques. Même dans la deuxième partie du dialogue, au sein de la célèbre gymnasia, le personnage de Parménide n’abandonne pas son approche réductionniste et continue à traiter les idées comme si elles étaient étendues dans l’espace (et donc divisibles) et dans le temps (et donc destinées à devenir plus âgées et plus jeunes).
La raison pour laquelle Platon attribue une telle attitude théorique à Parménide réside probablement dans le fait qu’à ses yeux, l’univers du poème de Parménide est un univers physique et que son masque est donc parfaitement adapté pour incarner les vices théoriques de la physiologie présocratique, encore présents dans le débat sur la théorie des idées.