I molti sensi dell’Uno nel Parmenide di Platone
Non ci sono dubbi sull’importanza del concetto di Uno nella trattazione dialettica della seconda parte del Parmenide. Ma Platone stesso ci invita nei dialoghi a non rimanere vittima dell’errore che le parole ci inducono a fare. Queste danno l’impressione di definire qualcosa di unitario, mentre spesso “nascondono” differenze profonde. Questo è ciò che accade nel Parmenide: con il termine “Uno” Platone mette in gioco realtà diverse, che occorre cogliere.
Platone evidenzia subito queste differenze. Infatti l’Uno della Prima tesi non è quello della Seconda tesi. La Prima tesi riguarda un Uno che ha le caratteristiche che Platone stesso successivamente sintetizzerà nella formula uno-uno (ἓν ἕν, 142C3). Data tale natura questo principio assolutamente semplice esclude nella sua stessa valenza semantica ogni articolazione interna e qualsiasi rapporto con qualcosa. Il risultato finale non può che essere negativo: una serie di negazioni che portano alla conclusione che tale Uno non è e, pertanto, non è nemmeno uno, né è conoscibile.
La cosa più importante è la struttura logica delle argomentazioni, cioè il ragionamento centrale che ricorre nelle diverse tesi: comunque sia, l’Uno diverrebbe due. Tutto si basa quindi proprio sulla natura monistica di questo principio.
Emerge così la differenza con l’Uno-che-è della Seconda tesi: questo, dato il suo rapporto strutturale e reciproco con l’Essere, si trova coinvolto in moltissime relazioni per cui si rivela essere una infinita molteplicità.
Platone aggiunge subito un terzo “Uno”, un concetto qui appena abbozzato, ma che, come vedremo, trova successivamente un’ampia trattazione. Con una operazione puramente mentale, distinguendo l’Uno dal suo stesso essere, è possibile pensare un Uno che appare solo uno, cioè cogliere la sua natura a prescindere dalla partecipazione che ha con l’essere (143A). Non è quindi il primo Uno che non partecipa di nulla e nemmeno il secondo che è l’Uno-che-è nella sua necessaria relazione con l’Essere.
Dunque il concetto di Uno si presenta immediatamente carico di valenze diverse, un dato che Platone rafforza, anche con allusioni talmente esplicite da essere sostanzialmente evidenti.
Primo, il testo mette in gioco quasi subito un quarto senso completamente diverso di uno, l’uno numero, che sommandosi al due dà luogo al tre (143D). Certo è un numero in un’accezione particolare, visto che il primo pari è il due e il primo dispari è il tre. Tuttavia tutto lo svolgimento numerico in qualche modo dipende dall’uno, in quanto il due è due volte uno e il tre tre volte uno.
Questo inserimento permette di evidenziare con forza la polivalenza del termine “Uno”. Infatti l’uno che si somma è il numero uno, mentre quello della affermazione finale «se allora l’Uno è, necessariamente anche il numero è» (144A4) è l’Uno-che-è, qualunque sia la valenza che gli si attribuisca. A conferma, nella trattazione del divenire il numero uno è posto come primo in quanto semplice e antecedente rispetto a tutti gli altri, che da esso derivano per composizione (153A-B).
Quanto alle allusioni risultano particolarmente importanti le esplicite tematizzazioni dei diversi sensi dell’Uno. Ad esempio nella seconda tesi, prima si afferma che l’Uno, dovendo essere presente in tutti gli enti, non può farlo come intero e quindi è diviso in parti, cioè è “infinita pluralità” (πολλά τε καὶ ἄπειρα, 144E4). Nello stesso tempo le parti sono nell’Uno come intero, che quindi costituisce un limite, che dà luogo ad un ente finito. Di qui Platone trae una conseguenza nella forma più provocatoria possibile: «Dunque, l’Uno-che-è è sia uno sia molti, sia intero sia parti, sia limitato sia quantità infinita» (τὸ ἓν ἄρα ὂν ἕν τέ ἐστί που καὶ πολλά, καὶ ὅλον καὶ μόρια, καὶ πεπερασμένον καὶ ἄπειρον πλήθει (145A2-3). Così Platone chiarisce subito che tutte le (apparenti) contraddizioni delle argomentazioni dipendono dalla diversità del soggetto cui si riferiscono. Infatti tutti i primi predicati sono propri dell’Uno-intero, i secondi dell’Uno-parte. Tale coppia è così importante che Platone la tematizza: «Ma partecipare dell’Uno è necessario sia all’intero sia alla parte. Quello sarà un Uno-intero, di cui le parti sono parti; l’altra, a sua volta, in quanto parte dell’intero, sarà una parte singolare dell’intero» (158A6-B1). Non possiamo qui illustrare come e quanto questa coppia sia decisiva nello svolgimento di molte diverse tesi.
Inoltre, non possono essere ignorati i tanti riferimenti – troppi per essere anche solo citati in questo breve paper – in cui Platone sotto la veste dell’Uno da una parte parla di realtà appartenenti al mondo ideale, dall’altra si riferisce ad enti che, essendo inseriti nel tempo e nello spazio e avendo una forma geometrica e dimensioni, non possono che appartenere al mondo empirico. Analogamente, bisogna assumere la distinzione, esplicitamente formulata, tra l’Uno in sé, che solo è veramente Uno, e le cose che sono uno unicamente perché partecipano dell’Uno (157E-158A).
Comunque in un processo binario come quello che quasi sempre Platone svolge non può essere sottovalutata la molteplicità delle figure che si oppongono all’Uno. Inizialmente si parla di altro dall’Uno, che poi si trasforma, senza alcuna segnalazione, in altri (146D5-6); ciò poi viene esplicitato con la constatazione che gli altri, proprio in quanto tali, sono più di uno (153A). Tale passaggio dal singolare al plurale non può essere sottovalutato dal punto di vista concettuale, anche perché è certamente voluto da Platone.
Ancora meno può essere sottovalutata la opposizione tra l’Uno preso in senso assoluto e il Non uno: «Se dunque prendiamo i due termini in senso integrale, l’Uno e il Non Uno…» (εἰ ἄρα πάντῃ τὸ μὲν ἕν ἐστι, τὰ δὲ μὴ ἕν, 147A8-B1). Questa coppia porta a conseguenze molto rilevanti che qui non possiamo approfondire. Risulta però chiaro che si tratta di una coppia molto particolare, visto che la Diversità è del tutto esclusa (146E) senza che questo comporti l’identità tra i due termini, poiché in questo caso il Non uno parteciperebbe dell’Uno (144A). In questa chiave si possono intendere frasi espresse in un linguaggio tutt’altro che preciso, come spesso accade in Platone: «Poiché dunque non c’è nulla oltre agli altri e all’Uno…» (151A7); «quando si è detto l’Uno e gli altri si è significato tutto» (159C1).
Sarebbe infine importante verificare come anche nelle ultime quattro tesi, in cui l’Uno non è, Platone compie analoghe analisi, ad esempio cercando (invano) nella Quinta tesi di mantenere un Uno che è e non è, mentre se il non essere dell’Uno-che-non-è è assunto in senso pieno, come avviene nelle altre tesi la conclusione finale deve essere totalmente negativa: «Niente è».
In sintesi, con un’analisi approfondita dei testi è possibile mostrare che nella seconda parte del Parmenide Platone offre un’ampia gamma di trattazioni che rispettano la complessità del reale anche laddove utilizza il solo termine “Uno”. Questo infatti è polivoco, sia intrinsecamente sia per l’uso che se ne può fare e per gli intrecci in cui viene collocato. Non poteva essere diversamente visto che «quanto attiene a tutti gli altri enti vale anche per l’Uno» (155E1-2).
Many senses of the One in Plato’s Parmenides
There is no doubt about the importance of the concept of the One in the dialectical treatment of the second part of Parmenides. But Plato himself invites us in his dialogues not to be a victim of the error that words lead us to. Words give the impression of defining something unified, while often “hiding” differences – sometimes large ones. This is exactly what happens in the Parmenides: with the term “One” Plato brings into play different realities, which must be adequately understood.
Plato immediately highlights these differences. In fact, the One of the First Thesis is not that of the Second Thesis. The First Thesis concerns a One that has the characteristics that Plato himself will later synthesize in the formula one-one (ἓν ἕν, 142C3). Given this nature, this absolutely simple principle excludes in its own semantic value every internal articulation and any relationship with something. The final result can only be negative: a series of negations that lead to the conclusion that this One is not and, therefore, it’s neither one nor knowable.
The most important thing is the logical structure of the arguments, the central reasoning that occurs in the different theses: the One would, in any case, become two. Everything is therefore based precisely on the monistic nature of this principle.
Thus emerges the great difference with the One-which-is of the Second Thesis: this, given its structural, reciprocal connection with Being, finds itself involved in numerous relationships because of which it turns out to be an infinite multiplicity.
Plato immediately adds a third “One”, a concept here just sketched, but which, as we will see, is later treated extensively. By distinguishing the One from its very being, with a purely mental operation, it is possible to think of a One that appears as only one, thus grasping its nature regardless of its participation with being (143A). This is not, therefore, the first One that does not participate in anything, nor the second that is the One-that-is in its necessary relationship with Being.
So the concept of One presents itself immediately loaded with different values, a fact that Plato strengthens, even with allusions so explicit they are substantially evident.
First, the text brings into play almost immediately a fourth, completely different sense of one: the one-number, which added to the two gives rise to the three (143D). Certainly it is a number in a particular sense, since the first even number is the two and the first odd number is the three. However, the whole number sequence in some way depends on the one, since the two is twice one and the three, three times one.
This insertion allows to strongly highlight the polyvalence of the term “One”. In fact the one that’s added is the number one, while the one of the final affirmation («if then the One is, necessarily also the number is», 144A4) is the One-that-is, whatever the valence we attribute here. As a confirm, in the treatment of becoming number one is placed first as simple and antecedent with respect to all others, which derive from it by composition (153A-B).
As for the allusions, the explicit thematizations of the different senses of the One are particularly important. For example, in the second thesis, at first we state that the One, because it has to be present in all the entities and cannot do it as a whole, is therefore divided into parts, i.e. is “infinite plurality” (πολλά τε καὶ ἄπειρα, 144E4). At the same time the parts are in the One as a whole, which therefore constitutes a limit, that gives rise to a finite entity. Hence Plato draws a consequence in the most provocative form possible: «So the One-that-is is both one and many, both whole and parts, both limited and infinite quantity» (τὸ ἓν ἄρα ὂν ἕν τέ ἐστί που καὶ πολλά , καὶ ὅλον καὶ μόρια, καὶ πεπερασμένον καὶ ἄπειρον πλήθει (145A2-3) Thus Plato immediately clarifies that all the (apparent) contradictions of the arguments depend on the diversity of the subject to which they refer. In fact all the first predicates are attributable to the One-whole, the second ones to the One-part.
Such a couple is so important that Plato discusses it: «But to participate in the One is necessary both to the whole and to the part. That should be a One-whole, in which the parts are parts; the other, in turn, as part of the whole, will be a singular part of the whole» (158A6-B1) We can not illustrate here how decisive this couple is in the exposition of many different theses.
Moreover, we cannot ignore the various occurrences – too many to be even mentioned in this short paper – in which Plato under the disguise of the One, speaks of reality belonging to the ideal world, and simultaneously refers to bodies that, because they are inserted in time and space and have a geometric shape and size, can only belong to the empirical world. Similarly, we must assume the explicitly formulated distinction between the One in itself, which alone is the true One, and the things which are one only because they partake of the One (157E-158A).
However, in a binary process like the one that almost always Plato adopts, the multiplicity of the figures that oppose the One can not be underestimated. Initially we talk about (something) other than One, which then turns, without any signal, into others (146D5-6). This is then explained with the observation that the others, precisely as such, are more than one (153A). This passage from the singular to the plural cannot be underestimated from a conceptual point of view, also considering it is certainly desired by Plato.
Even less can we underestimate the opposition between the One taken in an absolute sense and the Non-one: «If then we take the two terms in an integral sense, the One and the Non-One …» (εἰ ἄρα πάντῃ τὸ μὲν ἕν ἐστι, τὰ δὲ μὴ ἕν, 147A8-B1). This couple leads to very significant consequences that we cannot investigate here. However, it is clear that this is a very particular couple, since Diversity is excluded (146E) without implying the identity between the two terms, because in this case the Non one would participate in the One (144A). We then have a key to understand some sentences expressed in an “imprecise” language, as often happens in Plato: «Since therefore there is nothing besides the others and the One …» (151A7); «When we have said the One and the others, everything has been meant» (159C1).
It would also be important to verify how even in the last four theses, in which the One is not, Plato performs analogous analysis, for example looking (in vain) in the Fifth Thesis to maintain a One that is and is not, while if the non-being of the One-that-is-not is taken in the full sense, as happens in other final theses, the conclusion has to be totally negative: “Nothing is”.
In summary, with a thorough analysis of the texts it is possible to show that in the second part of the Parmenides, Plato offers a wide range of treatments that respect the complexity of the real even when only using the term “One”. This One has multiple values, both intrinsically and for the ways it can be used and the relationships in which we can place it. It could not be otherwise, since «all that pertains to the other things, also pertains to the One» (155E1-2).